Alcune considerazioni sullo sviluppo sostenibile


Tematiche globali e contesto ambientale

 

La questione ambientale,  decisamente  cruciale  per  la nostra epoca,  è da tempo parte integrante del dibattito internazionale. L’evoluzione della società umana nel corso degli ultimi 10 mila anni – e con modalità più rapide negli ultimi 200 e molto più veloci e devastanti negli ultimi 60 anni – ha determinato le condizioni odierne della biosfera, oggi sottoposta ad una crisi ambientale globale senza precedenti. Il cambiamento climatico in corso rappresenta un ulteriore elemento di rischio in quanto potenziale innesco di catastrofici eventi a breve termine. Lo sviluppo sostenibile è considerato, a questo punto, il solo principio organizzativo globale in grado di garantire una decorosa sopravvivenza alle presenti e future generazioni sulla base di un difficile patto intergenerazionale.

Nel mio libro “La Crisi Ambientale Globale” lo sviluppo sostenibile è stato dunque adottato come il principio di organizzazione sociale che più di altri si adatta alla nostra condizione odierna, inquadrandolo nell’attuale livello di complessità economica, ambientale e sistemica globale, nella incalzante dinamica della biosfera e nei tempi evolutivi di fenomeni assolutamente decisivi per il nostro futuro, quali l’aumento della popolazione,  gli impatti ambientali crescenti e la sfida del cambiamento climatico.

Nel periodo odierno di crisi ambientale ed economica in Italia (e non soltanto), ciò che ha tenuto insieme il Paese – nonostante la cattiva politica – è stato il tradizionale concetto di sostenibilità famigliare nei momenti difficili: ottimizzare la gestione delle risorse minimizzando gli sprechi, facendo a meno di prodotti inutili ed utilizzando con equità le disponibilità economiche.

Le nazioni sono naturalmente molto più complesse delle famiglie e talvolta anche il livello di democrazia e libertà e la presenza di mastodontiche ed inefficienti burocrazie possono condannarle alla decadenza. La crisi ambientale oggi riguarda l’intera biosfera, sia pure con modalità diverse a seconda dello sviluppo storico, culturale ed economico delle nazion,i e le risorse di cui dispongono. Tutti dovrebbero, dunque, contribuire, all’avvio di uno sviluppo sostenibile, ma le differenze accumulate dai popoli nel corso di secoli riducono le possibilità di collaborazione, a volte  creando tensioni a livello nazionale ed internazionale.

La  nostra biosfera – argomento centrale del dibattito sulla crisi ambientale globale –  viene considerata da Kauffman (Esplorazioni evolutive, 2000, Einaudi) come il luogo caratterizzato da una particolare dinamica, dotato della potenzialità che ha consentito circa 4 miliardi di anni fa di ospitare la vita e dare inizio ad una co-evoluzione auto-propulsiva, cioè ad un processo di auto-organizzazione e di crescente complessità che si diffonde nel tempo.  Oggi a 4 miliardi di anni dalle origini della vita il processo di crescente complessità è evidente e noi come osservatori qualificati, e prima ed unica specie dotata di conoscenza e consapevolezza, ne siamo la prova. Questa unicità  è la chiave di lettura di tutto quanto accade nell’ambiente intorno a noi e consente di affermare che non siamo soltanto i grandi inquinatori e distruttori di questa straordinaria biosfera (di cui abbiamo  tuttavia innescato la crisi), ma anche i potenziali salvatori. Segni evidenti di progresso sono  il miglioramento delle condizioni di vita, la disponibilità in molti Paesi di assistenza medica che aiuta e protegge milioni di vite umane, la crescente conoscenza dei limiti del sistema biosfera e la consapevolezza degli impatti che nel corso di un paio di secoli si sono riversati su di essa. E’ tempo ormai di diffondere la conoscenza della biosfera, crogiuolo di vita,  casa di milioni di specie animali e vegetali, di fenomeni fisici di cui in parte ignoriamo le interconnessioni. Questo è il nostro momento: ampliamo, dunque, le nostre conoscenze e cambiamo ora il nostro modello di sviluppo o forse mai più!

Nella sua interezza la biosfera  – vulnerabile velo di aria, acqua, suolo e vita – è caratterizzata da numerosi limiti fisici in alcuni casi in condizioni di temporanea stabilità, in altri in rapida evoluzione. Tra i primi rientrano le sue dimensioni e le componenti  idrosfera, atmosfera e litosfera; tra i secondi la vita in questo momento sottoposta alla conflittuale tendenza di diminuzione della biodiversità animale e vegetale ed all’aumento   esponenziale della nostra aggressiva specie alla perenne ricerca di nuove risorse. Questo precario equilibrio generale, considerato prossimo ai limiti di rottura, può essere sconvolto da fenomeni extraterrestri, come gli impatti da comete e meteoriti, terrestri come il cambiamento climatico ed umani, quali i  molteplici impatti causati dalla nostra società industriale avanzata che consuma forsennatamente risorse non-rinnovabili, distrugge ecosistemi, altera i cicli bio-geofisici naturali e disperde rifiuti tossici ovunque.

Nel groviglio delle componenti interattive un rilievo particolare  spetta ai tempi rapidi di crescita della popolazione (ed effetti collegati) e del cambiamento climatico. Questi due indicatori, che si prevede possano raggiungere il loro punto critico entro alcuni decenni,  costituiscono una spada di Damocle: quale che sarà la tipologia di cambiamento climatico (una nuova glaciazione o un interglaciale ancora più caldo dell’attuale), una umanità così numerosa,  invadente ed irrispettosa degli equilibri naturali, si troverebbe entro pochi anni in gravi difficoltà ambientali e conflitti locali che bloccherebbero il fragile meccanismo odierno di coesistenza pacifica.

La possibile catastrofe

 

La catastrofe potrebbe raggiungere il suo massimo sviluppo prima che l’umanità abbia elaborato il progresso culturale, sociale, politico ed economico indispensabile  per una razionale sopravvivenza non più casuale ed effimera. Il passaggio antropologico, di cui dunque abbiamo urgente bisogno, non sembra tuttavia poter avvenire in tempo utile da bloccare il progredire inarrestabile  della crisi ambientale, a meno che un salutare sussulto culturale convinca  politici, economisti  ed i popoli del fatto che  così non si può più procedere. In dettaglio

 

(1) l’aumento della popolazione umana ed il miglioramento delle condizioni di vita implicano uno sfruttamento esasperato delle risorse ed una altrettanto rapida crescita esponenziale degli impatti antropogenici e, quindi, lo stravolgimento degli equilibri interni della biosfera entro pochi decenni;

(2) il cambiamento climatico[1] non è per sua natura una nuova minaccia in quanto portatore di variazioni climatiche (più volte verificatesi nel corso della storia geologica), ma lo diventa in un mondo sovrappopolato e tecnologicamente avanzato nel quale una crescente popolazione oltre agli impatti che produce, finirebbe con il consumare sempre più rapidamente le risorse ed entrare in un dedalo di condizioni insostenibili. Aurelio Peccei (fondatore del Club di Roma) nel libro “Quale Futuro” (1971) ipotizzò un futuro basato su tre possibili alternative: (i) l’economia resta saldamente ancorata al “business as usual”, in un crescendo di guerre locali che fanno retrocedere la società a condizioni tribali, (ii) le Nazioni più forti impongono una dittatura militare globale che limita progressivamente le libertà acquisite, acuendo però le differenze tra ricchi e poveri e, (iii) le migliori qualità umane prevalgono impedendo soluzioni dittatoriali ed in sostanza aprendo la strada verso un futuro sostenibile.

 

A questo dunque si riduce la questione ambientale: un periodo altamente critico per la dinamica del sistema biosfera, nel momento in cui le interazioni tra i sottosistemi  raggiungerebbero con tutta probabilità  la massima complessità, creando condizioni di elevata insostenibilità.  E’ dunque essenziale comprendere i fenomeni che minacciano la biosfera, i tempi evolutivi, le interazioni e le conseguenze. In teoria uno sviluppo sostenibile, perseguito a livello globale, consentirebbe condizioni atmosferiche di gran lunga migliori di quelle che ci aspettiamo nei prossimi decenni, restituendo ai  mari,  agli oceani ed alle terre emerse la capacità di produrre risorse rinnovabili, insostituibili per la sopravvivenza. Al momento  la persistente propensione dell’economia per il “business as usual”  ignora sia il grande attivismo di conferenze a livello nazionale ed internazionale che si sforzano di illustrare i benefici della “sostenibilità”, sia il degrado generalizzato della biosfera sotto gli occhi di tutti. Oggi circa 1 miliardo di persone sono sottoalimentate, 4 miliardi sopravvivono  in condizioni di difficoltà e  2 miliardi godono di un livello medio-alto di benessere. Nel 2025, con 8 miliardi di persone,  i sottoalimentati  potrebbero raddoppiare e la differenza tra ricchi e poveri imporre la dittatura militare globale ipotizzata da Aurelio Peccei. E’ evidente infatti che i limiti fisici della terra coltivabile, la disponibilità limitata di acqua per irrigazione, l’inquinamento e l’erosione dei terreni produttivi, l’avanzata dei deserti e le inondazioni sempre più frequenti nelle zone di pianura facciano ritenere che, nel corso dei prossimi decenni, la produzione alimentare si stabilizzi o decresca, mentre popolazione e domanda alimentare continuerebbero a crescere. La produzione alimentare subirà con tutta probabilità perdite significative a causa delle condizioni di instabilità del clima, che  colpiranno a ritmo crescente l’agricoltura (come è  accaduto con le inondazioni del 2013).

A proposito dell’Italia – è il caso di ricordarlo –  sta emergendo la convinzione che il  boom economico del dopoguerra sia stato realizzato anche in parte a causa della facilità di creare le numerose discariche abusive che, negli ultimi 40-50 anni, hanno inquinato territorio e falde acquifere, causando danni incalcolabili, malattie e degrado ambientale. Questa è la nefasta eredità che stiamo lasciando alle future generazioni!

La co-evoluzione auto-propulsiva e lo sviluppo sostenibile

 

La co-evoluzione auto-propulsiva (Kauffman, Esplorazioni evolutive, 2000, Einaudi)  –  che ha consentito l’attuale sviluppo economico  in un contesto di sole forze e fenomeni naturali  fino al 1800   sembra aver raggiunto nel 2000, con la crisi ambientale globale,  il limite superiore di inquinamento generalizzato e di impoverimento della biosfera. Sicuramente  il divario tra ricchi e poveri è in crescita sia nei paesi poveri che in alcuni ricchi e questo rende la situazione ancor più complessa.

Molti scienziati considerano, dunque, finita l’era di questa lunga evoluzione naturale approdata alle condizioni odierne e valuta la possibilità di avviare uno sviluppo sostenibile che razionalizzi il sistema economico-produttivo attuale e dia inizio ad un nuovo periodo di sviluppo economico  (antropocene). Uomo e natura dovrebbero convivere e co-evolvere non più nella logica dello sfruttamento selvaggio delle risorse da parte della società umana per il prevalente beneficio di pochi, ma in una complementarità che valorizzi la natura nel suo insieme e consenta alle presenti ed alle future generazioni di godere di pari opportunità nel soddisfare le proprie esigenze, sempreché la popolazione globale intorno al 2040-50 si stabilizzi. Lo sviluppo sostenibile – che è stato duramente avversatoda alcuni e eccessivamente osannato da altri –impone  una  obiettiva analisi affinché si possano identificare i limiti imposti dalle condizioni ambientali ed i vantaggi per il riequilibrio dell’ambiente ed evidenziare le soluzioni inattuabili o rischiose. Lo sviluppo sostenibile può essere considerato una formula che non ha precedenti nella storia del nostro pianeta, onnicomprensiva in quanto in grado di armonizzare le attività umane e le dinamiche della biosfera  per una pacifica convivenza. Il fatto che  il processo dei popoli verso la democrazia sia in corso, tra alti e bassi, non deve farci dimenticare che molte nazioni, in teoria rette da  governi democratici, altro non sono che dittature camuffate, gestite da politici senza scrupoli, da istituzioni asservite al potere e Leggi compiacenti. Una sostenibilità di medio termine, potrebbe aver inizio a partire dal 2020 su tematiche di particolare importanza ed urgenza ed essere realizzata entro la metà di questo secolo.

I punti base di questo processo dovrebbero includere:

 

  • una visione realistica  della crescita demografica. Non c’è al momento una convergenza di vedute tra gli studiosi della popolazione, tuttavia sembra ormai molto probabile che intorno al 2025 si raggiungeranno 8 miliardi e che intorno al 2050 la popolazione possa attestarsi sui 9 miliardi. Una proiezione massima delle Nazioni Unite valuta anche la possibilità che la popolazione raggiunga 16 miliardi nel 2100. Parlare di sostenibilità in questo caso estremo sarebbe molto difficile e direi inutile. Nel mio libro “La Crisi Ambientale Globale” ho adottato (pag. 129, Figura 9.1) le previsioni di crescita citate nel libro “Limits to Growth. The 30-years update”, 2004 by Meadows et al. che prevedono il crollo della produzione alimentare e della popolazione intorno al 2020. Allo stato attuale di crescente degrado ambientale ed aumento della popolazione e  della temperatura media globale l’umanità dovrebbe iniziare la transizione verso la sostenibilità a partire dal 2020, puntando su una drastica riduzione de consumi di carbone ed un aumento dell’uso di risorse rinnovabili a basso tenore di emissioni di gas serra. Un comportamento pragmatico di questo tipo potrebbe almeno mettere sotto controllo il clima e dare all’umanità più tempo per affrontare gli altri problemi;
  • un balzo in avanti del livello culturale e scientifico della nostra specie. Occorre una nuova visione della natura non più come il luogo da cui prelevare le risorse e scaricare i rifiuti, ma come il luogo nel quale è nata e si è sviluppata la vita di cui noi siamo una specie tra tante, tuttavia unica nel suo genere. Quindi, piaccia o no, siamo anche eredi di responsabilità e doveri nei confronti della intera biosfera. Non è più concepibile che il management della biosfera sia nelle mani di politici, economisti, imprenditori ed operatori dei mass media, che in molti casi ignorano l’esistenza e la complessa struttura della biosfera che fornisce tutte le risorse di cui il libero mercato fa scempio. Questo implica per la nostra specie una transizione antropologica, di cui non si era avvertita la necessità fino all’inizio della rivoluzione industriale, ma oggi indispensabile per un comune futuro. Il salto culturale che le condizioni attuali ci impongono, cioè la consapevolezza dei limiti del sistema e la conoscenza della dinamica dei meccanismi evolutivi naturali,  è dunque una novità assoluta e senza precedenti, la cui attuazione ha un senso  se inquadrata nella presente condizione di rischio in cui si trova la biosfera. Una maggior diffusione delle conoscenze scientifiche, dovrebbe divenire parte integrante della  cultura di base della classe politica che dovrebbe aggiornare  il proprio corredo culturale e dare più spazio a scienziati ed esperti;
  • un  argomento importante riguarda i percorsi  evolutivi delle componenti della biosfera ed i tempi di reazione da parte umana. Una nave sovraccarica di merci oltre il suo limite massimo di galleggiamento in sicurezza (Linea di Plimsoll), in alcuni casi con un carico non uniformemente distribuito, corre il rischio di affondare. Il cambiamento  climatico può diventare irreversibile se la quantità di gas serra immessi nell’atmosfera  e lo scioglimento delle calotte glaciali entrano in una fase di forte accelerazione, condizione che alcuni scienziati danno per certa, vanificando ogni possibilità di intervento umano. La tragedia del Titanic può aiutarci a capire: è stato avvistato  in anticipo l’iceberg sul quale la nave potrebbe infrangersi; la distanza ed i meccanismi per un cambiamento di rotta non consentono tuttavia di evitare l’ostacolo in tempo. Noi possiamo ancora reagire in tempi brevi ed evitare catastrofici eventi, ma dobbiamo cambiare rapidamente;
  • un “patto intragenerazionale con i nostri figli e nipoti (ed intergenerazionale con i nostri più lontani discendenti)  per consentire che le presenti e le generazioni future di questo secolo abbiano pari opportunità di sopravvivenza. Sarà di queste ultime infatti la responsabilità di lasciare alle generazioni del prossimo secolo (XXII) una biosfera vivibile ed ospitale. Il patto tra generazioni dobbiamo stipularlo con i nostri figli, nipoti e pronipoti che per primi si troverebbero coinvolti in una catastrofica estinzione, se lasciamo che la gestione della questione ambientale venga effettuata dal “mercato” e dalle sue leggi niente affatto rassicuranti. Abbiamo la possibilità di lasciare non un cumulo di macerie, ma una società libera e consapevole di quanto ha ereditato e di quanto dovrebbe a sua volta elargire ai propri epigoni. Un  patto di coesistenza pacifica con la natura non sarebbe una nostra generosa elargizione, bensì una imprescindibile necessità affinché la nostra specie sopravviva. Se, come molti  scienziati ritengono, siamo già nel mezzo di una grande estinzione, un ulteriore rapido deterioramento delle condizioni esistenziali dell’umanità non farebbe altro che accelerare la decadenza della nostra civiltà favorendo in primis la nostra scomparsa. Dal punto di vista evolutivo tutto rientrerebbe nell’ordine naturale delle cose, molte specie oggi in via di estinzione si salverebbero e nel tempo nuove specie animali e vegetali popolerebbero il pianeta. Una equità intragenerazionale ed intergenerazionale  è concepibile solo in una società totalmente rinnovata in campo culturale, scientifico, sociale ed economico. Il livello culturale odierno della popolazione e della classe politica non  consente di preoccuparsi dei discendenti del  2100-2200, dato che non riusciamo a proteggere l’ambiente e le generazioni di questo secolo. Quanto ad equità distributiva – presupposto base per una decorosa sostenibilità – siamo ben lontani dal raggiungerla anche nei Paesi che vantano una democrazia stabile ed efficiente. In questo senso il processo di sostenibilità richiede tempi lunghi e noi oggi siamo probabilmente solo all’inizio di un percorso teorico, poco recepito dalle istituzioni governative. Le attività delle Nazioni Unite devono concentrarsi con forza nel sostenere l’avvio di un processo di sviluppo sostenibile al più presto. Bisogna inoltre che venga elaborato  un modello generale di riferimento per la transizione, del quale l’Europa Unita in primis (ma nessuna altra nazione è esclusa) potrebbe a mio avviso farsi a partire dal 2020 elaborando i piani nazionali;
  • l’ impegno reale per un futuro di stabilità umana ed ambientale.Il  problema può essere risolto solo partendo dalla situazione attuale, decidendo di non costruire altre centrali atomiche, ma di utilizzare energia solare, eolica, geotermica ed altre tipologie di risorse rinnovabili. Similmente bisogna smetterla con il radere al suolo le foreste ma reinserire le foreste nei contesti in cui è ancora possibile farlo. Un discorso di questo tipo vale anche per l’utilizzo delle risorse biologiche dei mari e degli oceani: meglio sarebbe una pesca controllata basata sulla capacità riproduttiva delle specie, piuttosto che la creazione di oasi ecologiche  disperse in oceani inquinati. In questo senso si incontra una ulteriore difficoltà: molti popoli continuano ad eliminare i grandi cetacei giustificandosi con la loro antica tradizione in tal senso. In sostanza è il caos che domina nei rapporti internazionali e mi sembra ovvio che il progresso in questo senso potrebbe inizialmente realizzarsi solo in Europa, le cui nazioni sono più omogenee di altre “Unioni”. E’ accertato che molte grandi navi eseguono il lavaggio dei loro immensi serbatoi in mare aperto e negli oceani, come dimostrano le macchie di olio e di altri composti chimici rilevate dai satelliti. Occorre quindi diffondere un programma globale di sostenibilità ed i programmi individuali di ciascun Paese, in modo che almeno i concetti base e le responsabilità  siano chiariti. Un impegno di disinquinamento dovrebbe essere adottato al più presto per il Mediterraneo che in quanto mare chiuso si deteriora con maggiore rapidità. Una robusta  presenza delle forze di controllo dei Paesi che si affacciano su questo mare interno, potrebbe costituire un esempio da seguire.  Noi viviamo all’interno della biosfera la condizione di co-evoluzione auto-propulsiva di Kauffmann, che riguarda anche il sistema politico, economico e produttivo; di conseguenza tutto è collegato con tutto e ciò implica una condizione ambientale naturale in continua evoluzione dinamica con la quale dobbiamo confrontarci;
  • una capacità di compensazione basata sul  trasmettere alle future generazioni risorse che compensino quelle che noi abbiamo già consumato. Occorre una breve premessa: (i) alcune risorse non-rinnovabili sono di lunghissima durata come l’energia solare, altre sono molto abbondanti (carbone, petrolio ed alcuni minerali), ma agli attuali e futuri ritmi di consumo saranno disponibili in misura decrescente solo per un paio di secoli; la loro naturale rigenerazione potrà avvenire solo in decine di milioni di anni, rendendole praticamente non disponibili per le generazioni future; (ii) tra le risorse rigenerabili, quelle del mondo animale e vegetale, la precarietà è molto più elevata: il consumo accelerato cui le stiamo sottoponendo può trasformarle in non rinnovabili (una foresta che viene rasa al suolo non protegge più il territorio dall’erosione e quindi non potrà rigenerarsi). Il degrado del territorio e degli oceani, riduce il potenziale rigenerativo dell’ambiente ed altera la dinamica di alcuni fenomeni complessi. La possibilità dunque di compensare le future generazioni per le risorse non più disponibili è limitata. Il problema è stato affrontato in vari modi. La soluzione più seria sembrerebbe quella di attribuire un prezzo alle risorse che vengono consumate e di investire in parte o del tutto i ricavi in altre risorse rigenerabili, di ridurre le esternalità e riutilizzare i rifiuti in modo da mantenere uno standard di condizione ambientale. E’ evidente che la qualità dell’ambiente che la mia generazione ha trovato negli anni ’50 non potrà essere preservata perché la popolazione era a quel tempo di circa 2.5 miliardi di persone, la cui esistenza era basata  su una agricoltura diffusa a livello globale. Il progresso scientifico consentirà alle future generazioni l’uso di risorse che non inquinano, ma se verranno nei prossimi anni distrutte gran parte delle foreste esistenti sul pianeta (processo già in corso e già frequente nei secoli passati) è chiaro che i nostri nipoti erediteranno un mondo degradato. L’equità intergenerazionale non può prescindere dalla evoluzione naturale legata al clima ed a tutti gli altri fenomeni terrestri, extraterrestri ed umani che plasmano continuamente il pianeta.  L’attribuzione di costi alle risorse, la  riduzione delle esternalità e quanto verrebbe pagato allo Stato per compensare l’inquinamento prodotto, sono possibilità che vanno tenute in seria considerazione, ma che non consentiranno pari opportunità. Nulla o quasi si potrà fare se la crescita demografica fosse già entrata nel campo della incontrollabilità.  Ritengo che una soluzione sia quella di partire dalla fotografia odierna dell’impronta ecologica dei popoli e della biocapacità dei relativi territori e su questa base tentare un approccio che riequilibri nella misura del possibile i guasti perpetrati. La fotografia odierna dovrebbe servire come base per ipotizzare la fotografia futura, collocabile ad esempio, tra il 2050 ed il 2100, quando la popolazione del pianeta dovrebbe essersi stabilizzata intorno agli 8-9 miliardi di persone. Se la tendenza ad una natalità pari alla mortalità dovesse rivelarsi impossibile (è sufficiente che Cina ed India crescano senza controllo) ogni sforzo per la sostenibilità sarebbe inutile. Le nazioni più popolose darebbero luogo ad una emigrazione selvaggia e conflitti armati esploderebbero ovunque. Un fattore di insostenibilità riguarda la conservazione delle scorie nucleari il cui controllo dovrebbe essere effettuato per secoli (e forse millenni) dai nostri discendenti. In questo caso non si verificherebbero compensazioni, ma costi addizionali;
  • l’inserimento nell’analisi costi-benefici dei valori delle risorse ambientali, degli impatti e delle esternalità. Un tentativo in questa direzione è stato in parte effettuato con scarsa convinzione e senza risultati di rilievo. La soluzione del “mercato” come panacea di tutti i mali è illusoria; di fatto in regime di neoliberismo  comandano gli economisti e le loro idee. Per questi ultimi le risorse naturali sono praticamente illimitate, lo spreco delle risorse è la base di partenza in quanto crea profitti e posti di lavoro, non importa a quali costi ambientali e rischi per le presenti e le future generazioni. Non possiamo quindi fidarci dei benefici effetti dell’economia di mercato che ha da sempre prediletto il perfezionamento dello spreco (Marcuse, L’Uomo ad una Dimensione,1964;
  • la struttura e le priorità di uno sviluppo sostenibile sono note: organizzare una società basata sulla giustizia sociale, che privilegi la conservazione della natura, migliori le condizioni di vita degli esseri umani, includendo in questo programma anche le generazioni future. Il primo passo (anche se l’argomento è ancora considerato fuori discussione) sarebbe la stabilizzazione della popolazione che è il motore unico di tutto il resto (attività umane, profitti, impatti ambientali e degrado generalizzato della biosfera e cambiamento climatico). Una popolazione può sopravvivere in un equilibrio quasi  stazionario purché l’impronta ecologica sia compatibile con la biocapacità del territorio e sempreché i cittadini ed istituzioni che perseguono la sostenibilità siano culturalmente adeguati alle difficoltà che incontreranno. Solo una decina di nazioni possiedono una impronta ecologica quasi uguale alla biocapacità. L’Italia in questo senso è una nazione ad elevata impronta ecologica ed una moderata biocapacità, quindi deve contare fortemente sull’importazione di beni;
  • una  ”diffusione globale della democrazia”. Questa  straordinaria conquista umana,  rap-presenta la sola garanzia di una equa sopravvivenza, che non sacrifichi  i più deboli, ma consenta alla maggioranza della popolazione una dignitosa libertà dai bisogni primari, come prerogativa per uno sviluppo armonico della nostra specie. La democrazia è indis-pensabile per garantire eguaglianza, collaborazione tra i popoli, giustizia sociale e libertà. Se si aggiunge il concetto di “fraternità” si torna ai principi base della rivoluzione francese.

 

Molte interpretazioni sono state fornite sullo sviluppo sostenibile, molte sono le critiche alla sostenibilità  e diffusa è la sensazione che in assenza di sostenibilità la situazione globale dell’economia possa solo peggiorare. Lo scopo fondamentale di avviare un processo verso la sostenibilità si riassume nella possibilità di conservare un equilibrio sociale, ecologico ed ambientale all’interno della biosfera, allo stesso tempo innalzando le condizioni economiche dei più poveri e limitando l’ulteriore arricchimento dei più ricchi.

A partire dall’inizio del III Millennio e tenendo conto dalla crisi finanziaria ed economica del 2007 e di quanto è accaduto a livello globale in termini di disastri naturali, economici e sociali,  è utile riassumere i rischi, le potenzialità umane e le evidenti difficoltà:

 

  1. la nostra società globale è a rischio di catastrofe per la crescita esponenziale della popolazione,  per il consumo forsennato delle risorse rinnovabili e non-rinnovabili, per l’impatto ambientale antropogenico e la decimazione della biodiversità, per i conflitti che sorgono sempre più numerosi tra i popoli, per il cambiamento climatico che potrebbe raggiungere dimensioni devastanti;
  2. oggi si può concepire l’avvio di un processo di sviluppo sostenibile il cui punto focale sia una stabilità biosferica (riferita ai fenomeni naturali ed alle attività umane) a brevissimo termine ed una a medio termine, rispettivamente all’interno dei periodi 2020-2050 e 2050-2100. Oggi possediamo le conoscenze scientifiche per un avvio del processo, ma non abbiamo raggiunto la maturità politica per cambiare la nostra società;
  3. nel corso della sua diffusione nel mondo negli ultimi 100 mila anni, ma soprattutto negli ultimi 20 mila anni Homo Sapiens si è diversificato in alcuni casi perseguendo uno sviluppo economico e culturale notevole, in altri casi rimanendo condizionato da situazioni ambientali ed esistenziali difficilissime. Oggi risentiamo pesantemente di queste differenze che negli ultimi 80 anni circa si sono ulteriormente radicate talvolta trasformandosi in “condizioni” immutabili”. Differenze di cultura, di condizioni economiche, di religione e di tradizioni storiche fanno si che la nostra specie da un lato si identifichi nella  definizione di Homo Sapiens, dall’altro abbia elaborato differenze che certamente non facilitano la coesione che l’inizio di un processo di sostenibilità globale  richiederebbe;
  4. i problemi che ad esempio riguardano i popoli più evoluti sul piano economico, non interessano allo stesso modo i numerosi popoli in via di sviluppo il cui impegno quotidiano più pressante è la sopravvivenza giorno per giorno in una diffusa mancanza di risorse. Per quanto possa apparire logico per la nostra specie che si è auto qualificata “Sapiens”,  i popoli più ricchi non intendono investire risorse per aiutare quelli più poveri, pertanto le differenze crescono (sia pur tenendo conto di alcune eccezioni) non solo tra le nazioni ma all’interno delle nazioni. In sostanza la solidarietà è un valore individuale e le disuguaglianze tendono a prevalere;
  5. se si continua ad ignorare il problema delle emissioni globali di gas serra, nel giro di due decenni il clima si riscalderà ulteriormente fondendo le coltri glaciali (già in fase di avanzato ritiro), causando danni all’economia globale e bloccandola nel giro di pochissimi anni. L’allarme che molti geologi, glaciologi e biologi hanno lanciato ipotizza sconvolgimenti globali assolutamente incontrollabili. Di queste transizioni la storia geologica è ricca e solo  20 mila anni fa si è passati da una glaciazione molto estesa (che si era protratta per 90 mila anni nell’emisfero settentrionale espandendosi fino al Nord degli Stati Uniti ed alle Alpi in Europa), ad una de-glaciazione che si è protratta fino a 10 mila anni fa durante la quale immensi volumi di ghiaccio si sono liquefatti (facendo salire il livello del mare di oltre 120 m). Il riscaldamento dell’atmosfera si è poi stabilizzato dando luogo ad una “condizione climatica ottima” nel corso della quale si è sviluppata l’agricoltura. Con la rivoluzione industriale del 1800 la temperatura media ha ripreso a crescere ad oggi essendo più elevata di 1°C; questa apparentemente modesta variazione sta già provocando la liquefazione delle calotte glaciali con conseguenze ben note. L’avvio di uno sviluppo sostenibile non viene agevolato da questa dinamica di eventi geologici naturali ed umani, ed anche per questo è più indispensabile che mai. Il rapporto pubblicato il 31 Marzo 2014 dall’IPCC, intitolato IPCC WGH AR5 Summary for Policymakers costituisce un aggiornamento della odierna condizione globale. La Figura SPM 1 evidenzia il rischio derivante dagli impatti legati al clima (a loro volta legati alla variabilità naturale dei fenomeni ed alle attività antropogeniche con effetti sul clima). In particolare il rischio deriva  da impatti climatici ed antropici e dalla interazione tra fenomeni fisici collegati al clima (hazards), la presenza   di vite umane, beni, specie ed ecosistemi (exposure) e la predisposizione del sistema (vulnerability) nel subire impatti di entità varia. La componente antropica motore di cambiamento climatico, che per la prima volta nella storia geologica entra in scena  a partire dal secolo scorso, è la più pericolosa quanto a varietà  e rapidità  degli impatti. Dal tenore di molti rapporti prodotti dalle Nazioni Unite si ha la sensazione che le proposte di intervento per contrastare questo autodistruttivo degrado ambientale indotto dall’uomo, riguardino sempre più adattamento e mitigazione  che sono attività utili e realizzabili ma non risolutive,  e sempre meno le cause scatenanti antropogeniche della crisi ambientale.

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Figura SPM 1 –  IPCC WGH AR5 Summary for Policymakers (pag. 35)

 

La fragilità e la vulnerabilità delle varie democrazie planetarie, che pure tendono ad una omogeneizzazione dei contenuti e delle tipologie strutturali, ostacolano una visione ambientale comune e sembrano necessitare di tempi lunghi di maturazione, a fronte della rapidità con cui avanza il cambiamento climatico. L’idea di uno sviluppo sostenibile, pur nelle difficoltà enunciate, resta tuttavia l’unica strada,  indubbiamente difficile ed irta di ostacoli, ma percorribile. Per questo nel mio libro “La Crisi Ambientale Globale” ho rivolto l’invito all’Europa Unita affinché sia il primo gruppo di nazioni a  concepire, elaborare e realizzare al più presto, nella misura del possibile, la transizione verso la sostenibilità, unica pragmatica speranza per un futuro migliore (giovannirantucci.wordpress.com).

Fai clic per accedere a IPCC_WG2AR5_SPM_Approved.pdf

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Giovanni Rantucci

 

[1]The Summary for Policymakers  released on 31 March 2014, (IPCC), Fifth Assessment Report (AR5).

 

Complessità, limiti della biosfera, sostenibilità e cambiamento climatico


Introduzione

Una complessità senza precedenti caratterizza la biosfera e la società umana a partire dalla fine della II Guerra Mondiale. I nostri antenati, già alcuni millenni orsono, si erano posti domande cruciali, ma solo le ultime generazioni, sostenute da solide conoscenze scientifiche, sono state in grado di porle correttamente e di darsi solide risposte. La particolare coincidenza odierna – che coinvolge da un lato progresso culturale, scientifico, economico, sociale, crescita demografica esponenziale, una sconvolgente quantità di impatti antropici e dall’altro le dinamiche  dei fenomeni naturali – è costituita da un complesso groviglio di sistemi interattivi concentrati nella nostra esile, vulnerabile ed unica biosfera. La complessità nasce dal fatto che le conoscenze scientifiche ed il progresso tecnologico raggiunto negli ultimi 100 anni e la consueta dinamica naturale della biosfera, interagiscono producendo impatti  ambientali con il potenziale di innescare una catastrofe globale. In questo quadro decisamente preoccupante si inserisce il cambiamento climatico in corso, rendendo questa convergenza progressivamente più complessa e difficile da gestire. Entro pochi decenni l’intera biosfera potrebbe trasformarsi in un caotica mescolanza di fenomeni interconnessi ed irreversibili, il cui risultato primario potrebbe essere un diffuso disordine climatico, causa di un deterioramento della struttura portante della società industriale ed un declino inevitabile della nostra specie. Il progresso scientifico, che sostiene capillarmente la nostra società globale, non ha prodotto una maggiore capacità di condividere e risolvere pacificamente i problemi, condizione oggi più che mai necessaria in un pianeta la cui popolazione è in crescita esponenziale. In questo groviglio di meccanismi, azioni e reazioni decrescono tra l’altro i servizi che la biosfera rende alla vita. L’Universo nelle sue dimensioni cosmiche appare  isotropo, uniforme ed  omogeneo, al contrario la nostra piccolissima biosfera fecondata dalla vita e sede di una straordinaria biodiversità sembra andare nella direzione opposta. L’immensa capacità della mente umana crea diversità in tutti i settori dello sviluppo antropico, rendendo la nostra specie unica nel mondo biologico. Le tematiche globali di particolare importanza nel contesto ambientale odierno sono:

  • Il cambiamento climatico  in corso, è in parte determinato dalla evoluzione geologica e dai cicli orbitali della Terra ed in parte dal tumultuoso sviluppo demografico, economico e sociale della nostra specie. La crescente emissione dei gas serra se non controllata, minaccia uno e sconvolgimento globale  entro pochi decenni;

 

  • i limiti della biosfera, la corsa contro il tempo per ritardare  la fase critica del cambiamento climatico e la insostenibilità globale che progressivamente e rapidamente si è impadronita del sistema, alterandone alcuni processi. Il quadro geologico dell’ultimo mezzo miliardo di anni (circa 542 milioni) è stato interessato da numerose estinzioni locali, da molte estinzioni di media grandezza e da cinque estinzioni globali di massa. La Figura 1 evidenzia i tempi della lenta evoluzione che si  è protratta per circa 4 miliardi di anni ed il Fanerozoico (suddiviso in Paleozoico, Mesozoico e Cenozoico) nel corso del quale la vita è esplosa in una successione sorprendente di forme. La nostra civiltà odierna si è sviluppata  in alcune migliaia di anni  raggiungendo in un paio di secoli ed in particolare negli ultimi 60 un  livello di  complessità senza precedenti. Nelle dimensioni della Figura 1 il lasso di tempo che più da vicino ci riguarda, circa 10 mila anni,  non è nemmeno rappresentabile!

    Immagine   Figura 1 – I cambiamenti evolutivi che si sono verificati  durante i circa 4.6 miliardi anni di vita del pianeta, sono avvenuti nel corso degli EONI Adeano, Archeano, Proterozoico e Fanerozoico, quest’ultimo a sua volta è suddiviso in ERE (Paleozoico, Mesozoico e Cenozoico). Da Geologic clock.jpg, Wouldoper 10-31-2010, WIKIPEDIA.   Il nostro odierno “attimo esistenziale” coinvolge dunque la nascita della società e della  civiltà industriale e paradossalmente forse anche la sua estinzione!

  • lo sviluppo sostenibile, inteso come un equilibrato ed inedito fenomeno di collaborazione tra le Nazioni,  dovrebbe chiudere il Quaternario con la  fine dell’Olocene e avviare un percorso di totale rinnovamento cui è stato dato il nome di Antropocene. L’idea di un’epoca di globali responsabilità e collaborazione tra esseri umani, fu denominato alla fine degli anni ’70 Antropocene, secondo quanto riferito  nel rapporto della WBGU, World in Transition (2013) e risale ad una novella del 1979 dello scrittore svizzero Max Frisch. Se la comprensione dei limiti del sistema biosfera, della interdipendenza tra Nazioni e della umana consapevolezza di condividere territorio e più in particolare anche atmosfera ed idrosfera prevalesse, si potrebbe realizzare un contesto di popoli interdipendenti e solidali. La  massima armonia possibile tra le componenti strettamente naturali (evoluzione geologica e  biologica) e lo sviluppo umano attuale potrebbe costituire dunque la base dei principi-chiave dell’Antropocene.  Secondo la visione di alcuni scienziati,  la crescita esponenziale della popolazione, del consumo delle risorse e dell’inquinamento, inevitabilmente costringerebbe i popoli ad una forma di collaborazione, per contrastare il degrado  ambientale ed il cambiamento climatico ed evitare che questi processi entrino in fase critica in  alcuni decenni.  La situazione nel suo complesso ricorda tuttavia la tragedia del TITANIC: l’iceberg è stato avvistato ma la nave non possiede la tecnologia per evitarlo! Ciò che a noi manca è la consapevolezza e la volontà politica per cambiare rotta. Lo sviluppo  sostenibile potrebbe garantire una coesistenza globale, purché la transizione avvenga rapidamente ed  inneschi una evoluzione antropologica in tempi brevi rispetto al rapido procedere del cambiamento climatico. I fenomeni che non riusciamo a controllare, è ben noto, sono la crescita demografica esponenziale, l’esaurimento delle risorse, l’inquinamento ed il crollo della biodiversità che priverebbe l’umanità di insostituibili servizi. Lo sviluppo sostenibile dovrebbe essere basato su programmi nazionali di sostenibilità che potrebbero essere coordinati a livello di nazioni di dimensioni continentali quali America, Europa,  Cina ed India e che nel tempo dovrebbero  convergere  in una sostenibilità internazionale. L’idea di una condivisione della biosfera  (diritti e doveri) è stata in gran parte accolta a livello internazionale ed alcuni risultati nella protezione di specie a rischio confermano questa possibilità. Soltanto una democrazia planetaria, basata  su una governance globale, consentirebbe  tuttavia di ratificare un “Contratto Sociale per la Sostenibilità” consentendo all’uomo di prendersi cura della biosfera.

  • tutto questo comporterebbe un diverso modello di sviluppo, non più basato sulla crescita quantitativa del PIL di ciascuna nazione in perenne competizione con le altre, ma su  (i) una visione planetaria comune in cui cultura e scienza coesistano integrandosi, e (ii) sulle culture tradizionali locali che rappresenterebbero le differenze tra i popoli (biodiversità culturale), ma coltivate all’interno della biosfera “unico contenitore per tutti”. La biosfera è tra i più complessi sistemi dell’Universo, ha favorito la nascita di culture diversificate nell’ambito della nostra specie e può essere preservata nelle sue dinamiche naturali, a patto che la si conosca bene dal punto di vista scientifico e le si riconosca  il diritto di esistere.

 

  • la presenza attiva delle popolazioni, in questa gigantesca trasformazione verso la sostenibilità, è chiaramente ostacolata dagli egoismi umani individuali e da visioni politiche che amplificano gli opposti interessi  dei popoli. Fattore di estrema importanza sono le disuguaglianze sociali, oggi in crescente aumento anche all’interno delle democrazie più avanzate. Due indicatori economici, infine, sui quali è difficile agire per renderli compatibili, sono (i) la differenza tra impronta ecologica (legata alla crescita demografica ed industriale) e biocapacità (disponibilità di risorse) a livello di singole nazioni e, (ii) le macroscopiche differenze del costo del lavoro (ad esempio tra Cina ed Europa), che esasperano il quadro della competizione.  Un aspetto, inoltre, fondamentale è che oggi gli scienziati comunicano prevalentemente tra loro, con un linguaggio a volte incomprensibile, spesso non riuscendo a trasmettere il quadro della situazione (che è costellata di grandi, medi e piccoli problemi) e le priorità. La diffusione dei nuovi valori, per iniziare il processo verso un futuro sostenibile, non è recepita dai politici sia (i) per una loro individuale devozione al pragmatismo quotidiano, che (ii) per una carenza culturale che li indirizza, al massimo, nella ricerca di nuove tecnologie che possano perpetuare il profitto e conservare la situazione economica attuale. Occorre  che venga recepita l’idea di un “patto intergenerazionale” che superi il concetto di sopravvivenza individuale e garantisca un futuro sostenibile alla nostra specie. Ma questo potrebbe essere in totale contrasto con i limiti  del nostro pianeta ed i limiti dei tempi  evolutivi del DNA: cambiamenti troppo rapidi non sembrano possibili, anche quando indispensabili. Ad essere cinici si può immaginare che in alcuni ambienti politici e militari si ritenga che sia  irrilevante che tutta l’umanità sopravviva, basterebbe la sopravvivenza di alcune grandi potenze, il che perpetuerebbe la corsa agli armamenti e la visione di un futuro dominato da oligarchi.

  Infine, esistono contrastanti correnti di pensiero che vanno dal “negazionismo” assoluto dell’esistenza di una “Crisi Ambientale Globale”, al catastrofismo totale che certamente non aiuta la coesione dei popoli e la soluzione dei problemi.  

La complessità ed il tempo

  Circa  la parola complessità bisogna intendersi: in astronomia le stelle sono considerate oggetti cosmici semplici, mentre il nostro ambiente, più in generale la biosfera, il mondo biologico  ed in particolare il nostro cervello sono ritenuti oggetti cosmici estremamente complessi. La complessità massima è dunque  legata alla condizione umana odierna al punto che se non fosse  esistito l’Homo Sapiens l’evoluzione avrebbe preso una strada diversa. La scienza della complessità è stata definita da Neil Johnson (Wikipedia), come “lo studio di fenomeni che emergono da una collezione di oggetti interattivi”. Il fatto che i popoli siano in sostanza “sistemi complessi di sopravvivenza” con caratteristiche temporali, culturali e sociali diverse e che le società umane interagiscano evolvendosi da punti di partenza diversi, rende il problema ulteriormente inestricabile. Le scienze che si occupano di ambiente, e quindi coinvolgono tutto quanto esiste ed accade nella biosfera, sono il nucleo della multidisciplinarità e pertanto anche il massimo della complessità concepibile. Per questo credo che molti politici, economisti e manager, essendo condizionati dalla  immediatezza dei risultati, sono naturalmente portati alla semplificazione della problematica ambientale che semplice non è. Alla famiglia delle cose complesse appartiene secondo me l’idea dello sviluppo sostenibile, come descritto nel Rapporto Brundtland del 1987, e soprattutto come il concetto si è modificato nei successivi Rapporti IPCC-UNEP  dal  2000 in poi.  Questo spiega anche le difficoltà del sistema politico in generale che è per sua natura abituato a risolvere problemi nel giro di qualche anno, dato che nelle democrazie la programmazione a lungo termine  è di per sé limitata. In campo ambientale quello che sta accadendo è che la dinamica odierna è il risultato evolutivo di eventi che si sono verificati nel corso di tempi geologici e che possono d’altra parte essere velocizzati da fenomeni imprevedibili come l’impatto di meteoriti, o lo sviluppo di una società come la nostra che nel corso degli ultimi 70 anni ha rivoluzionato l’intero pianeta. L’idea di uno sviluppo sostenibile, in considerazione delle componenti coinvolte e dei diversi tempi evolutivi di ciascuna, dovrebbe forse essere realizzata secondo una progressione di azioni che tuttavia implicano tempi lunghi se confrontate con i tempi rapidi dell’aumento della temperatura media e del cambiamento climatico. Un approccio possibile potrebbe essere quello di realizzare prioritariamente il passaggio ad una green economy che avrebbe il pregio di ridurre drasticamente le emissioni di gas  serra e regalare all’umanità forse qualche decennio in più per affrontare gli altri problemi ambientali. Il Governo Federale della Germania ha, ad esempio, approvato una Strategia per lo Sviluppo Sostenibile che sta avendo effetti positivi sull’economia e che ha bilanciato in parte il deficit legato alla chiusura di alcune centrali atomiche a seguito dell’incidente di Fukushima (11 Marzo 2011) in Giappone. Ma è evidente che il problema riguarda tutte le nazioni e che l’Europa Unita, più di altri sistemi di dimensioni continentali, sembra possedere la consapevolezza del rischio globale  ed il potenziale  per affrontare la “complessità della crisi ambientale odierna”. Queste sono le idee base del mio libro “La Crisi Ambientale Globale (giovannirantucci.wordpress.com) di cui vorrei ricordare alcuni punti:

  • siamo in presenza di una transizione dalla insostenibilità alla sostenibilità, alcuni  passi avanti sono stati compiuti,  ma i risultati sono per ora scarsi;
  • il passaggio ad una “economia verde” è possibile, ma persistono gli sprechi, le inefficienze e la non-definizione di percorsi nazionali che  privilegino le risorse non inquinanti. In ogni caso l’economia capitalista non è in grado di prendersi cura dell’uomo e dell’ambiente ed ancor meno lo è stata  l’economia di tipo comunista;
  • poiché non è immaginabile che le singole nazioni (sia ricche che povere) si impegnino nella riduzione programmata dell’uso del carbone, è necessario che uno sforzo di coordinamento venga tentato dalla EU, con il determinato intento di sollecitare gli altri popoli nella stessa direzione;
  • la transizione ad una economia verde è un processo itinerante, come lo è stato quello verso i sistemi di governo  democratici, entrato nel vivo in parte dopo la fine del periodo coloniale e più recentemente con la caduta del muro di Berlino (1989). Il cammino da compiere per iniziare il percorso verso la sostenibilità è dunque lungo ed è forse più logico immaginare una partenza unilaterale dell’Europa Unita, che una  serie di decisioni a livello internazionale.

http://commons.wikimedia.org/wiki/File%3AGeologic_Clock_with_events_and_periods.svg   TAGS Tematiche globali e contesto ambientale,  complessità, cambiamento climatico,  insostenibilità globale, Fanerozoico, sviluppo sostenibile, Antropocene, Brundtland, sostenibilità internazionale, condivisione della biosfera, democrazia planetaria, governance, Contratto Sociale per la Sostenibilità, modello di sviluppo, presenza attiva delle popolazioni, diffusione delle conoscenze scientifiche, policy makers, La complessità ed il tempo, Rapporti IPCC-UNEP,  Governo Federale della Germania, complessità della crisi ambientale odierna, La Crisi Ambientale Globale           Giovanni Rantucci

Alluvioni e pessima politica del territorio che affliggono l’Italia da decenni


Una prima domanda che si pone è da quanto tempo l’Italia (e non solo) è soggetta alle  grandi alluvioni? La storia dell’Italia, geologicamente parlando, è legata alla formazione delle Alpi, degli Appennini, del grande golfo padano che si estendeva fino ed oltre Torino ed il cui riempimento si è protratto per milioni di anni. Altre pianure esistono in Italia e soprattutto zone pianeggianti che a SW e NE  bordano gli Appennini.

L’origine della fossa padana, che per riempimenti successivi avrebbe dato luogo alla pianura omonima, risale a circa 11-12 milioni di anni fa quando il Mare Adriatico si estendeva ad W delimitato a Nord dalle Alpi, al Sud dagli Appennini. Il riempimento di questo grande bacino ebbe una forte accelera-zione a seguito della chiusura dello Stretto di Gibilterra 5.5 milioni di anni fa (Miocene Superiore) quando il livello marino del Mediterraneo si abbassò drasticamente dando luogo alla formazione di profondi canyon e rendendo, a causa dei forti dislivelli che interessarono i fiumi alpini, l’attività erosiva delle acque fluviali molto intensa e quindi accrescendo enormemente il trasporto di sedimenti a valle.

Nel lungo periodo di accumulo, l’estensione del bacino marino si ridusse progressivamente fino alla saturazione ed alla emersione della pianura come la conosciamo oggi con il grande delta del Po.  Dal IV secolo d.c. gli insedia-menti umani apportarono nella zona oggi conosciuta come Polesine (parola che potrebbe derivare dal greco polus che significa molte e nesos che significa isole), basati su variazioni del drenaggio superficiale per facilitare il deflusso delle acque verso il Mare Adriatico. Da allora ad oggi la Pianura Padana è stata intensamente urbanizzata e modificata dalle attività umane ed è anche per questo soggetta ad inondazioni di varia intensità.

La capacità degli affluenti  di esondare nel corso di avvicinamento al  Po  e di invadere le zone pianeggianti crebbe nell’ultimo milione di anni a seguito dei 10 cicli glaciali del Tardo Quaternario. In pratica nel corso delle fasi glaciali freddissime, della durata di 80-95 mila anni, le nevi perenni si spinsero verso valle alimentando i grandi ghiacciai alpini, che si caricarono di quantità enormi di sedimenti (conosciuti con il nome di morene). A questi lunghi periodi di freddo intenso si alternarono fasi interglaciali calde di 5-15 mila anni, che si susseguirono ciclicamente nell’ultimo milione di anni. I brevi periodi di caldo (interglaciali) disciolsero in parte gli strati nevosi che si erano accumulati nel tempo, riversando a valle immensi quantitativi di acque e sedimenti.

Più in generale  gran parte delle catene montuose del pianeta delimitano bacini imbriferi al cui interno si concentrano le acque nei periodi di sciogli-mento glaciale e di elevata piovosità. Il Bacino indo-gangetico ed il bacino del Rio delle Amazzoni sono tra i bacini più grandi del pianeta. Il fatto che i popoli abbiano prediletto (per esempio è il caso del territorio tra il Tigri e l’Eufrate) l’ubicazione dei loro villaggi o città in prossimità di fiumi e mari è una scelta di sopravvivenza, di maggior potenziale irriguo delle zone pianeggianti, di disponibilità di risorse e quindi di condizioni di vita migliori.

L’occupazione, per scopi legati all’agricoltura, delle pianure dell’Indo e del Gange, della pianura Padana e di zone costiere e pianeggianti in Italia rientra appunto in questo ordine evolutivo cui tutti i popoli si sono adeguati, con alterne vicende. Nel caso del Nilo le inondazioni periodiche hanno consentito una efficiente agricoltura, nel caso dei popoli del Bangladesh la quantità di acqua, che viene riversata a valle dai fiumi che hanno origine dall’Himalaya, spesso eccede la norma e quindi esondazioni immense ed incontrollabili possono verificarsi.

Quello che accade nei nostri tempi in fatto di inondazioni è  allo stesso tempo sorprendente ed assurdo. Le previsioni meteorologiche anticipano di giorni o di ore la possibilità di eventi  incontrollabili e la conoscenza del territorio, del-l’idraulica e quindi della diffusione delle piene nelle zone pianeggianti agricole, dovrebbero consentire di identificare le aree a rischio, i rimedi  temporanei (canali e zone di drenaggio) e le modalità dei soccorsi che si possono quindi attivare prima che le situazioni divengano incontrollabili. La realtà è che quali che siano gli sforzi organizzativi ad esempio della Protezione Civile, non si riesce in molti casi ad effettuare un controllo adeguato nei periodi di intense precipitazioni. Questa inconsistenza  degli interventi, tuttavia è conseguenza della continua cementificazione del territorio, che in Italia procede con una rapidità che non ha eguali in Europa. La confusione è inoltre aggravata dal sovrapporsi dalla mancanza di fondi per fronteggiare l’emergenza. Il Capo della Protezione Civile Franco Gabrielli ha dichiarato a seguito delle alluvioni di dicembre 2013 di aver utilizzato tutti i fondi disponibili, affermazione che integra quanto aveva detto a seguito della devastante alluvione dell’Ottobre 2011 lamentando una carente prevenzione nei territori troppo antropizzati.

Il solo discorso che a questo punto mi sembra degno di nota è il fatto che le grandi conoscenze del territorio accumulate negli ultimi 40 anni (ed in precedenza) e quanto era già stato comunicato al Parlamento negli anni ’70 – Relazione De Marchi a seguito dei disastri del Polesine e di Firenze – sia rimasto quasi lettera morta: la politica resta in questo paese il solo motore di sviluppo, quando le cose vanno bene a livello europeo e mondiale. Quando invece dovrebbe essere guidata da uomini dotati di conoscenze scientifiche, gli esperti vengono messi alla porta e si parla d’altro, magari di leggi ad personam di rifinanziamenti come quello dell’Alitalia etc. In sostanza il nostro Paese è privo della  capacità nel razionalizzare i problemi, di trovare soluzioni e di metterle in opera come avviene in altre Nazioni  Europee.

La dissennata occupazione di aree di espansione dei fiumi è stata inoltre accompagnata da opere concepite e realizzate in parte da speculatori che non avevano e non potevano avere alcun interesse nel creare condizioni di pacifica coesistenza tra uomo e  fenomeni naturali.

Racconto a questa punto una mia piccola storia.  Verso la metà degli anni ’70 la società presso cui lavoravo (la SAUTI) mi  inviò per 6 mesi in missione in Indonesia e precisamente nell’isola di Sumatra per la progettazione della strada Sidjungjung-Muarabungo-Lubuklinggau in piena foresta pluviale. Il gruppo dei topografi era già lì da tempo e quindi era organizzato per ospitare me e l’altro collega geologo (Vito) con il quale ci saremmo occupati dei sondaggi e degli studi geofisici per la progettazione delle fondazioni dei ponti. Il nostro volo in aereo a Sumatra fu breve e piacevole, fummo accolti da un autista con cartello all’aereoporto e portati all’interno direttamente nella zona dei lavori, ospiti del campo di tende dei nostri amici topografi.

All’arrivo mi sembrò di osservare un campo tende per turisti, ben organizzato ed ordinato. Il campo, sulla sponda del fiume Sungaidareh era costituito da tende ben spaziate, collegate da coppie di tavole di legno che disegnavano tutti i percorsi possibili tra le tende, che erano piccole quelle per dormire, medie quelle per lavorare ed una grande per la mensa. Verso le 15, dato che era iniziata una fitta pioggia, chiesi un ombrello e domandai dove fosse il bagno. Mi e mi fu indicato un casotto di legno, coperto, a sbalzo sul fiume, confortevole e molto panoramico. No ricordo perché (forse una deformazione professionale), dalla lunghezza dei pali di legno immersi verticalmente nel fiume che sorreggevano il casotto, calcolai che tra il livello dell’acqua  ed il terrazzo su cui era stato costruito il campo c’erano circa 5 m, un valore ritenni in quel momento più che rassicurante. Poi ci mettemmo con il mio collega a lavorare e verso le 16.30 tornai di nuovo in bagno e mi sembrò che il livello dell’acqua fosse salito di 1.5 m, ma non detti eccessiva importanza al problema, impegnandomi però ad una verifica da eseguire intorno alle 17.30. Fu così che scoprii che in circa un’ora  l’acqua era salita 1.5 m dal piano del campo e detti l’allarme. La prima reazione fu di incredulità, poi accompagnai i responsabili del campo che per la verità erano allibiti e in quel frangente vidi una canoa con  a bordo un locale sfrecciava nella direzione della corrente a grande velocità verso valle. Chiesi ad un nostro autista interprete di chiedere un parere al navigatore solitario e quello spartanamente disse “muovetevi da qui, entro mezzora il fiume raggiungerà il suo terrazzo fluviale ed arriveranno i caimani”. Fu questa seconda notizia che si diffuse alla velocità della luce: immediatamente venne dato l’ordine di evacuazione, io ed il mio amico non avevamo nemmeno disfatto i bagagli e quindi fummo i primi a prendere l’iniziativa. Tutto fu smontato in fretta  e fortunatamente gli operai indonesiani che erano con noi dettero un contributo insostituibile. Quasi tutto fu portato sulle 20 Land Rover di cui disponevamo, qualcosa fu ammucchiato su un piccolo rialzo del terreno e dopo un po’ vedemmo l’acqua che ormai lambiva il terrazzo già cosparso di pozzanghere. Io ed il mio collega geologo fummo subito etichettati come iettatori, ma sapevamo che era uno scherzo e che questa commedia sarebbe continuata per tutto la durata della campagna di indagini. Nei mesi successivi ad ogni nostra visita al campo dei topografi si rinnovava il rituale di farci sentire ospiti indesiderati che portano iella. Ma questo non turbò assolutamente i nostri camerateschi rapporti.

Detto questo è evidente in generale che il convogliarsi dell’acqua degli affluenti nel fiume principale, nel caso di una precipitazione che si protrae per ore, inizia lentamente e poi cresce nel tempo fino a quando la pioggia cessa e magari nel giro di qualche ora torna il sereno.

Passando da questi ricordi alla situazione italiana è quasi banale osservare che al procedere della urbanizzazione delle zone pianeggianti ed agricole,  cresce il deflusso delle acque che non sono più libere di espandersi nelle zone tradizionali di occupazione dei fiumi nei periodi di pioggia e di essere assorbite dal suolo.  Vivendo nei Paesi del Sud Est asiatico il fenomeno delle case su palafitte è una costante ambientale degli insediamenti umani e non bisogna aver studiato idraulica per capire che i fiumi hanno un loro regime che periodicamente prevede condizioni di piena e di magra e quindi una diffusione delle acque  o un loro ritiro dalle zone limitrofe.

Oggi è facile incontrare nei nostri percorsi quotidiani strade importanti che si allagano dopo brevi temporali, semplicemente perché la manutenzione dei i drenaggi costa troppo o perché non sono stati affatto previsti drenaggi.

Questo porta anche alla conclusione che al crescere della popolazione in un territorio limitato l’impatto umano si ingigantisce  e questa tendenza  dalle contrastanti conseguenze nuoce all’equilibrio del territorio ed alza i livelli di vulnerabilità della popolazione. Altri fenomeni tra i quali la corruzione ampliano il ventaglio degli impatti antropici, con le estreme conseguenze che si possono immaginare ad esempio da una improvvisa eruzione del Vesuvio, ma non poco danno deriva dal basso livello scientifico di tanti operatori e responsabili magari selezionati per raccomandazione. In generale il problema del territorio è fuori della portata dei nostri politici che non vogliono sentirne parlare. A questo basso livello di comunicazione si adeguano anche molti canali televisivi: non è raro che si presenti un personaggio importante, che parli ma non si senta perché la voce è quella dei presentatori che sono ormai i proprietari dei canali di comunicazione e non i giornalisti che dovrebbero far da tramite tra le Autorità del Paese e la popolazione.  C’è in sostanza un deficit di comunicazione che copre i problemi reali con una cortina di chiacchiere: tutto deve essere comico quanto possibile, la gente deve poter sorridere e star bene, non importa se a pochi km di distanza c’è gente che muore per mancanza di soccorsi o per decisioni di pianificazione i cui responsabili andrebbero perseguiti per legge. Da questo modo di crescere del Paese i nostri fogli e nipoti erediteranno povertà e disastri in misura crescente.

Le recenti alluvioni del modenese del 20-23, quella del 30-31 Gennaio 2014 e quelle precedenti della Liguria e della Sardegna  sono ascrivibili allo stato di degrado del territorio che non è considerato una risorsa naturale, come è nella realtà, ma un teatro di guerra di speculatori che si annidano ormai nel-l’industria privata e nelle amministrazioni pubbliche.

Paradossalmente, infine il tanto conclamato desiderio di “semplificazione delle regole” per uno sviluppo rapido dell’economia, viene esteso a tutte le strutture statali, cercando di includere in questo ipotetico processo anche la burocrazia in generale in quanto freno al progresso economico. In realtà ciò che bisognerebbe fare è la semplificazione delle responsabilità attribuendo ad esempio la tutela del territorio alle sole Regioni ed evitando il sovrapporsi di Istituzioni che tutelano esclusivamente le proprie autonomie lasciando il territorio in balia di opposti estremismi politici e di speculatori sempre in attesa del nuovo disastro (è il caso di ricordare i due personaggi che a seguito del’ Terremoto dell’Aquila si scambiarono per telefono espressioni di soddisfazione per gli affari che avrebbero potuto concludere).

Nel corso di oltre sei decenni – come chiaramente si evince dall’articolo del Dr. Marco Delle Rose “Politica e catastrofi idrogeologiche dal Polesine alla commissione De Marchi” – le conoscenze scientifiche ed i mezzi di indagine sono evidentemente aumentati,  i progetti effettuati praticamente in tutta Italia hanno comportato la spesa di centinaia di miliardi di Euro (considerando i tas-si di conversione dalla Lira), senza peraltro mettere in sicurezza il territorio.

Del resto il tasso di consumo del terreno agricolo per nuove costruzioni è il più alto d’Europa, mentre vecchie costruzioni che potrebbero essere restaurate vengono abbandonate nella speranza degli speculatori e spesso delle autorità comunali che il progressivo degrado le renda inutilizzabili.

La conclusione che ho tratto dopo decenni di lavoro da geologo è che i disastri naturali sono inevitabili e che solo una democrazia forte, ben organizzata ed efficiente può mettere in campo tutte le forze disponibili, individuare un coordinamento di altissimo livello professionale e minimizzare per quanto possibile il rischio.

La Crisi Ambientale Globale (2013)


INDICE

CAPITOLO 1 – LA GRAVE MINACCIA DELLA CRISI GLOBALE …………….. 1

La Crisi Ambientale Globale

 

Il Declino dei Servizi Forniti dall’Ecosistema

Cambiamento Climatico

Sviluppo Storico della Crisi Ambientale

La Transizione Ultimi 40 Anni


CAPITOLO 2 – COSMOLOGIA

Il Nostro Ambiente Cosmico e Terrestre

Il Big Bang

Le Costanti Cosmologiche e Principio Antropico

La Formazione Elementi Chimici

La Tabella di Mendeleev, origine degli elementi chimici, evoluzione delle stelle ed origine del Carbonio

 


CAPITOLO 3 – LA TERRA E LA BIOSFERA Sistema Solare, Pianeti, Asteroidi e Comete

L’Evoluzione Geologica e Biologica della Terra

Campo Magnetico Terrestre

La Biosfera

Dimensioni, composizione, ambiente, ecosistemi ed organismi viventi

L’albero della vita

Requisiti per la Formazione di una Biosfera e lo Sviluppo

dell’Intelligenza

 


CAPITOLO 4 – DAGLI OMINIDI ALL’HOMO SAPIENS .

Preominidi ed Ominidi

La Glaciazione Wurm e le Rivoluzioni Agricola ed Industriale

La Migrazione dell’Homo Sapiens

 


CAPITOLO 5 – RISCALDAMENTO GLOBALE E VARIAZIONI DEL CLIMA

Fattori Cambiamento Climatico

Fattori extraterrestri

Fattori terrestri

Fattori umani

Metodi di Ricerca

Il Cambiamento Climatico

Il Cenozoico

Il massimo termico Paleocene-Eocene PETM

Il superamento di 2°C rispetto all’era preindustriale e l’inversione

VI

della temperatura nelle ere glaciali

L’ultima era glaciale

Bilancio Energetico dell’Atmosfera e Radiative Forcing Globale

Il flusso di energia e l’effetto serra

Il contributo energetico derivante da attività umane ed il radiative forcing

Variazioni di temperatura, scioglimento dei ghiacci, il disgelo della

tundra e del permafrost

L’Arresto della Circolazione Termoalina

Considerazioni Conclusive

 


CAPITOLO 6 – CAPITALISMO E DEMOCRAZIA ……………………………….. 79

L’Evoluzione del Capitalismo

Il Progresso Incompiuto della Democrazia

L’Economia Secondo Smith, Maltus, Mill, Clausius e Keynes

La Critica delle Lobbies e dell’Economia di Mercato

Le Potenze Emergenti e gli Effetti Globali

Alcune Considerazioni su Capitalismo e Democrazia

 


CAPITOLO 7 – CRESCITA ECONOMICA E SVILUPPO SOSTENIBILE

Il Rapporto Brundtlandt del 1987 ed il Coinvolgimento delle

Nazioni Unite

Introduzione

Il Rapporto Brundtlandt

Lo Sviluppo Sostenibile Secondo Herman Daly

Una voce nell’oscurità

Ortodossia ed ignoranza

Concetti e definizioni

L’Importanza della capacità portante della biosfera e la Linea di

Plimsoll

I limiti biofisici, etici e sociali

Flusso circolare, crescita economica e non-economica

Il prodotto nazionale lordo e le esternalità

Crescita economica e globalizzazione

Conclusioni

 


CAPITOLO 8 – SCENARI PER IL XXI SECOLO

Scenari Globali

Scenari del Millennium Ecosystem Assessment (MA)

Gli Scenari Elaborati a Seguito dell’Iniziativa del Club di Roma

La trilogia ed i concetti chiave

Scenari Pubblicati tra il 1972 ed il 2004

Osservazioni Conclusive

L’Analisi Basata sull’Impronta Ecologica

L’Impronta umana, la biocapacità, il superamento dei limiti ed il

debito ecologico

Impronta ecologica, biocapacità e consumo di acqua potabile

Implicazioni dell’attuale sviluppo umano e lo scenario del WWF

VII

Pro e contro dell’analisi dell’impronta ecologica (EFA)

Metodo Basato sull’Economia Ecologica

 


CAPITOLO 9 – LO SVILUPPO SOSTENIBILE ED IL MODELLO DI RIFERIMENTO PER LA TRANSIZIONE

L’Umanità nella Fase di Transizione

I Nove Principali Indicatori della Crisi

Lo Stato Attuale della Terra

Il Processo di Sviluppo Sostenibile (SDP) e le Nazioni Unite

Il Coinvolgimento delle Nazioni nel Modello di Riferimento per la

Transizione (RTM)

 


CAPITOLO 10 – LA RIVOLUZIONE DELL’ENERGIA Sorgenti di Energia ed Emissioni di Anidride Carbonica

La Valutazione dei Differenti Scenari Effettuata nel 2007

Lo Scenario ADV Energy (R)evolution proposto da

INDICE

 


CAPITOLO 11 – LO SVILUPPO SOSTENIBILE DELLE INFRASTRUTTURE

Il Percorso verso un Futuro di Sostenibilità

Infrastrutture per uno Sviluppo Sostenibile

 


CAPITOLO 12 – LA RIVOLUZIONE CULTURALE Saggezza, Ignoranza, Scetticismo e Disinformazione

Lo Sfondo Culturale della Crisi Ambientale e Finanziaria

La complessa storia degli ultimi cento anni

La difficoltà di cambiare il presente e di immaginare il futuro

La Rivoluzione Culturale

Il Declino dell’Umanità o la sua Rinascita?

 


CAPITOLO 13 – LA PROSPETTIVA GLOBALE PER UNA INIZIATIVA DELLE

NAZIONI UNITE ED UNA ED UNA PROPOSTA ALL’EUROPA UNITA 171

Introduzione

La Proposta RTM alla EU Paragonata ad altre Nazioni di Dimensioni

Continentali

I Problemi Globali e Nazionali della EU

La Proposta alla Europa Unita

Etica Ambientale e la Necessità di una Rapida Transizione

Il difficile rapporto uomo-natura

La necessità di una nuova visione politica, sociale ed antropologica

Conoscenza, Consapevolezza, Indignazione e Partecipazione

Conclusioni

 

 

 

Aumento emissioni globali di gas serra nel 2013 – Global greenhouse-gas emissions increase in 2013 (IEA)


Da IEA: WORLD Energy Outlook 2013.

Secondo il rapporto pubblicato nel Novembre 2013 dalla IEA (International Energy Agency) le emissioni di gas serra sono ulteriormente aumentate nel 2013. Le emissioni di anidride carbonica, secondo il rapporto hanno superato nel 2013 le 400 ppm per la prima volta nel corso di diverse migliaia di anni e di conseguenza eventi estremi quali  tempeste, alluvioni ed ondate di caldo saranno più frequenti ed intense in futuro. La temperatura media crescerà tra 3.6°C e 5.3°C prevalentemente in questo secolo, se paragonata alla temperatura del periodo preindustriale. Nonostante  queste previsioni, la IEA ritiene che si possa mantenere la crescita della temperatura a di sotto dei 2°C, purché entro il 2020 una energica azione venga messa in atto con la finalità di varare nel 2020 un accordo internazionale sul clima. Il rapporto ricorda che il grande problema è l’energia – di cui l’80% è basata sul consumo di combustibili fossili – oggi responsabile per i 2/3 delle emissioni globali di gas serra.

Per mantenere l’aumento di temperatura al di sotto dei 2°C, la IEA suggerisce di adottare 4 misure urgenti:

– migliorare l’efficienza nei consumi di energia in modo da ridurre le emissioni gassose (49%)

– limitare la costruzione e l’uso delle centrali a carbone obsolete (21%)

– ridurre le emissioni di metano collegate alla produzione di petroli e gas (18%)

– accelerare la riduzione dei sussidi al consumo dei combustibili fossili (12%)

Queste misure ormai da tempo reiterate sia dalla IEA che da altre organizzazioni internazionali non sembrano aver scalfito la fiducia delle industrie private che operano nel campo del petrolio e le cui attività di ricerca nei fondali dell’Oceano Artico sono ben note. In sostanza il mondo è sospinto da due forze contrapposte le Nazioni Unite e le Altre organizzazioni Internazionali che insistono sul non superare la soglia dei 2°C di aumento della temperatura e le grandi società petrolifere che non abbandoneranno mai un business così redditizio come quello del petrolio. In mezzo a questi due colossi vivono circa 7 miliardi di persone  che preferirebbero sentir parlare di  aumenti dei sussidi alle risorse rinnovabili, della messa in campo di una gigantesca iniziativa per il risparmio energetico e magari ascoltare giornalmente notizie confortanti sul miglioramento delle condizioni ambientali ed in particolare degli ecosistemi.

La mia personale visione è che l’uomo, non potendo i suoi geni cambiare radicalmente in pochi anni, abbia una sola chance, quella di un poderoso sforzo in campo culturale per inculcare nelle giovani generazioni l’idea che l’unico adattamento possibile per una decorosa sopravvivenza sia una conoscenza profonda del sistema biosfera, del suo funzionamento e dei suoi limiti. Concordo con l’idea che la biosfera sia in sostanza un grande organismo vivente al cui interno vivono e prosperano altri organismi viventi, ma questo non significa affatto che possa ospitare un numero illimitato di esseri viventi. E’ infatti evidente che anche nel migliore dei casi (cioè che le 4 misure urgenti suggerite dalla  IEA vengano adottate) l’ulteriore aumento della popolazione ad oltre 8 miliardi nel 2030, disarticolerebbe comunque la dinamica della biosfera ed innescherebbe una estinzione di massa!

http://www.iea.org/newsroomandevents/pressreleases/2013/november/name,44368,en.html