Alcune considerazioni sullo sviluppo sostenibile


Tematiche globali e contesto ambientale

 

La questione ambientale,  decisamente  cruciale  per  la nostra epoca,  è da tempo parte integrante del dibattito internazionale. L’evoluzione della società umana nel corso degli ultimi 10 mila anni – e con modalità più rapide negli ultimi 200 e molto più veloci e devastanti negli ultimi 60 anni – ha determinato le condizioni odierne della biosfera, oggi sottoposta ad una crisi ambientale globale senza precedenti. Il cambiamento climatico in corso rappresenta un ulteriore elemento di rischio in quanto potenziale innesco di catastrofici eventi a breve termine. Lo sviluppo sostenibile è considerato, a questo punto, il solo principio organizzativo globale in grado di garantire una decorosa sopravvivenza alle presenti e future generazioni sulla base di un difficile patto intergenerazionale.

Nel mio libro “La Crisi Ambientale Globale” lo sviluppo sostenibile è stato dunque adottato come il principio di organizzazione sociale che più di altri si adatta alla nostra condizione odierna, inquadrandolo nell’attuale livello di complessità economica, ambientale e sistemica globale, nella incalzante dinamica della biosfera e nei tempi evolutivi di fenomeni assolutamente decisivi per il nostro futuro, quali l’aumento della popolazione,  gli impatti ambientali crescenti e la sfida del cambiamento climatico.

Nel periodo odierno di crisi ambientale ed economica in Italia (e non soltanto), ciò che ha tenuto insieme il Paese – nonostante la cattiva politica – è stato il tradizionale concetto di sostenibilità famigliare nei momenti difficili: ottimizzare la gestione delle risorse minimizzando gli sprechi, facendo a meno di prodotti inutili ed utilizzando con equità le disponibilità economiche.

Le nazioni sono naturalmente molto più complesse delle famiglie e talvolta anche il livello di democrazia e libertà e la presenza di mastodontiche ed inefficienti burocrazie possono condannarle alla decadenza. La crisi ambientale oggi riguarda l’intera biosfera, sia pure con modalità diverse a seconda dello sviluppo storico, culturale ed economico delle nazion,i e le risorse di cui dispongono. Tutti dovrebbero, dunque, contribuire, all’avvio di uno sviluppo sostenibile, ma le differenze accumulate dai popoli nel corso di secoli riducono le possibilità di collaborazione, a volte  creando tensioni a livello nazionale ed internazionale.

La  nostra biosfera – argomento centrale del dibattito sulla crisi ambientale globale –  viene considerata da Kauffman (Esplorazioni evolutive, 2000, Einaudi) come il luogo caratterizzato da una particolare dinamica, dotato della potenzialità che ha consentito circa 4 miliardi di anni fa di ospitare la vita e dare inizio ad una co-evoluzione auto-propulsiva, cioè ad un processo di auto-organizzazione e di crescente complessità che si diffonde nel tempo.  Oggi a 4 miliardi di anni dalle origini della vita il processo di crescente complessità è evidente e noi come osservatori qualificati, e prima ed unica specie dotata di conoscenza e consapevolezza, ne siamo la prova. Questa unicità  è la chiave di lettura di tutto quanto accade nell’ambiente intorno a noi e consente di affermare che non siamo soltanto i grandi inquinatori e distruttori di questa straordinaria biosfera (di cui abbiamo  tuttavia innescato la crisi), ma anche i potenziali salvatori. Segni evidenti di progresso sono  il miglioramento delle condizioni di vita, la disponibilità in molti Paesi di assistenza medica che aiuta e protegge milioni di vite umane, la crescente conoscenza dei limiti del sistema biosfera e la consapevolezza degli impatti che nel corso di un paio di secoli si sono riversati su di essa. E’ tempo ormai di diffondere la conoscenza della biosfera, crogiuolo di vita,  casa di milioni di specie animali e vegetali, di fenomeni fisici di cui in parte ignoriamo le interconnessioni. Questo è il nostro momento: ampliamo, dunque, le nostre conoscenze e cambiamo ora il nostro modello di sviluppo o forse mai più!

Nella sua interezza la biosfera  – vulnerabile velo di aria, acqua, suolo e vita – è caratterizzata da numerosi limiti fisici in alcuni casi in condizioni di temporanea stabilità, in altri in rapida evoluzione. Tra i primi rientrano le sue dimensioni e le componenti  idrosfera, atmosfera e litosfera; tra i secondi la vita in questo momento sottoposta alla conflittuale tendenza di diminuzione della biodiversità animale e vegetale ed all’aumento   esponenziale della nostra aggressiva specie alla perenne ricerca di nuove risorse. Questo precario equilibrio generale, considerato prossimo ai limiti di rottura, può essere sconvolto da fenomeni extraterrestri, come gli impatti da comete e meteoriti, terrestri come il cambiamento climatico ed umani, quali i  molteplici impatti causati dalla nostra società industriale avanzata che consuma forsennatamente risorse non-rinnovabili, distrugge ecosistemi, altera i cicli bio-geofisici naturali e disperde rifiuti tossici ovunque.

Nel groviglio delle componenti interattive un rilievo particolare  spetta ai tempi rapidi di crescita della popolazione (ed effetti collegati) e del cambiamento climatico. Questi due indicatori, che si prevede possano raggiungere il loro punto critico entro alcuni decenni,  costituiscono una spada di Damocle: quale che sarà la tipologia di cambiamento climatico (una nuova glaciazione o un interglaciale ancora più caldo dell’attuale), una umanità così numerosa,  invadente ed irrispettosa degli equilibri naturali, si troverebbe entro pochi anni in gravi difficoltà ambientali e conflitti locali che bloccherebbero il fragile meccanismo odierno di coesistenza pacifica.

La possibile catastrofe

 

La catastrofe potrebbe raggiungere il suo massimo sviluppo prima che l’umanità abbia elaborato il progresso culturale, sociale, politico ed economico indispensabile  per una razionale sopravvivenza non più casuale ed effimera. Il passaggio antropologico, di cui dunque abbiamo urgente bisogno, non sembra tuttavia poter avvenire in tempo utile da bloccare il progredire inarrestabile  della crisi ambientale, a meno che un salutare sussulto culturale convinca  politici, economisti  ed i popoli del fatto che  così non si può più procedere. In dettaglio

 

(1) l’aumento della popolazione umana ed il miglioramento delle condizioni di vita implicano uno sfruttamento esasperato delle risorse ed una altrettanto rapida crescita esponenziale degli impatti antropogenici e, quindi, lo stravolgimento degli equilibri interni della biosfera entro pochi decenni;

(2) il cambiamento climatico[1] non è per sua natura una nuova minaccia in quanto portatore di variazioni climatiche (più volte verificatesi nel corso della storia geologica), ma lo diventa in un mondo sovrappopolato e tecnologicamente avanzato nel quale una crescente popolazione oltre agli impatti che produce, finirebbe con il consumare sempre più rapidamente le risorse ed entrare in un dedalo di condizioni insostenibili. Aurelio Peccei (fondatore del Club di Roma) nel libro “Quale Futuro” (1971) ipotizzò un futuro basato su tre possibili alternative: (i) l’economia resta saldamente ancorata al “business as usual”, in un crescendo di guerre locali che fanno retrocedere la società a condizioni tribali, (ii) le Nazioni più forti impongono una dittatura militare globale che limita progressivamente le libertà acquisite, acuendo però le differenze tra ricchi e poveri e, (iii) le migliori qualità umane prevalgono impedendo soluzioni dittatoriali ed in sostanza aprendo la strada verso un futuro sostenibile.

 

A questo dunque si riduce la questione ambientale: un periodo altamente critico per la dinamica del sistema biosfera, nel momento in cui le interazioni tra i sottosistemi  raggiungerebbero con tutta probabilità  la massima complessità, creando condizioni di elevata insostenibilità.  E’ dunque essenziale comprendere i fenomeni che minacciano la biosfera, i tempi evolutivi, le interazioni e le conseguenze. In teoria uno sviluppo sostenibile, perseguito a livello globale, consentirebbe condizioni atmosferiche di gran lunga migliori di quelle che ci aspettiamo nei prossimi decenni, restituendo ai  mari,  agli oceani ed alle terre emerse la capacità di produrre risorse rinnovabili, insostituibili per la sopravvivenza. Al momento  la persistente propensione dell’economia per il “business as usual”  ignora sia il grande attivismo di conferenze a livello nazionale ed internazionale che si sforzano di illustrare i benefici della “sostenibilità”, sia il degrado generalizzato della biosfera sotto gli occhi di tutti. Oggi circa 1 miliardo di persone sono sottoalimentate, 4 miliardi sopravvivono  in condizioni di difficoltà e  2 miliardi godono di un livello medio-alto di benessere. Nel 2025, con 8 miliardi di persone,  i sottoalimentati  potrebbero raddoppiare e la differenza tra ricchi e poveri imporre la dittatura militare globale ipotizzata da Aurelio Peccei. E’ evidente infatti che i limiti fisici della terra coltivabile, la disponibilità limitata di acqua per irrigazione, l’inquinamento e l’erosione dei terreni produttivi, l’avanzata dei deserti e le inondazioni sempre più frequenti nelle zone di pianura facciano ritenere che, nel corso dei prossimi decenni, la produzione alimentare si stabilizzi o decresca, mentre popolazione e domanda alimentare continuerebbero a crescere. La produzione alimentare subirà con tutta probabilità perdite significative a causa delle condizioni di instabilità del clima, che  colpiranno a ritmo crescente l’agricoltura (come è  accaduto con le inondazioni del 2013).

A proposito dell’Italia – è il caso di ricordarlo –  sta emergendo la convinzione che il  boom economico del dopoguerra sia stato realizzato anche in parte a causa della facilità di creare le numerose discariche abusive che, negli ultimi 40-50 anni, hanno inquinato territorio e falde acquifere, causando danni incalcolabili, malattie e degrado ambientale. Questa è la nefasta eredità che stiamo lasciando alle future generazioni!

La co-evoluzione auto-propulsiva e lo sviluppo sostenibile

 

La co-evoluzione auto-propulsiva (Kauffman, Esplorazioni evolutive, 2000, Einaudi)  –  che ha consentito l’attuale sviluppo economico  in un contesto di sole forze e fenomeni naturali  fino al 1800   sembra aver raggiunto nel 2000, con la crisi ambientale globale,  il limite superiore di inquinamento generalizzato e di impoverimento della biosfera. Sicuramente  il divario tra ricchi e poveri è in crescita sia nei paesi poveri che in alcuni ricchi e questo rende la situazione ancor più complessa.

Molti scienziati considerano, dunque, finita l’era di questa lunga evoluzione naturale approdata alle condizioni odierne e valuta la possibilità di avviare uno sviluppo sostenibile che razionalizzi il sistema economico-produttivo attuale e dia inizio ad un nuovo periodo di sviluppo economico  (antropocene). Uomo e natura dovrebbero convivere e co-evolvere non più nella logica dello sfruttamento selvaggio delle risorse da parte della società umana per il prevalente beneficio di pochi, ma in una complementarità che valorizzi la natura nel suo insieme e consenta alle presenti ed alle future generazioni di godere di pari opportunità nel soddisfare le proprie esigenze, sempreché la popolazione globale intorno al 2040-50 si stabilizzi. Lo sviluppo sostenibile – che è stato duramente avversatoda alcuni e eccessivamente osannato da altri –impone  una  obiettiva analisi affinché si possano identificare i limiti imposti dalle condizioni ambientali ed i vantaggi per il riequilibrio dell’ambiente ed evidenziare le soluzioni inattuabili o rischiose. Lo sviluppo sostenibile può essere considerato una formula che non ha precedenti nella storia del nostro pianeta, onnicomprensiva in quanto in grado di armonizzare le attività umane e le dinamiche della biosfera  per una pacifica convivenza. Il fatto che  il processo dei popoli verso la democrazia sia in corso, tra alti e bassi, non deve farci dimenticare che molte nazioni, in teoria rette da  governi democratici, altro non sono che dittature camuffate, gestite da politici senza scrupoli, da istituzioni asservite al potere e Leggi compiacenti. Una sostenibilità di medio termine, potrebbe aver inizio a partire dal 2020 su tematiche di particolare importanza ed urgenza ed essere realizzata entro la metà di questo secolo.

I punti base di questo processo dovrebbero includere:

 

  • una visione realistica  della crescita demografica. Non c’è al momento una convergenza di vedute tra gli studiosi della popolazione, tuttavia sembra ormai molto probabile che intorno al 2025 si raggiungeranno 8 miliardi e che intorno al 2050 la popolazione possa attestarsi sui 9 miliardi. Una proiezione massima delle Nazioni Unite valuta anche la possibilità che la popolazione raggiunga 16 miliardi nel 2100. Parlare di sostenibilità in questo caso estremo sarebbe molto difficile e direi inutile. Nel mio libro “La Crisi Ambientale Globale” ho adottato (pag. 129, Figura 9.1) le previsioni di crescita citate nel libro “Limits to Growth. The 30-years update”, 2004 by Meadows et al. che prevedono il crollo della produzione alimentare e della popolazione intorno al 2020. Allo stato attuale di crescente degrado ambientale ed aumento della popolazione e  della temperatura media globale l’umanità dovrebbe iniziare la transizione verso la sostenibilità a partire dal 2020, puntando su una drastica riduzione de consumi di carbone ed un aumento dell’uso di risorse rinnovabili a basso tenore di emissioni di gas serra. Un comportamento pragmatico di questo tipo potrebbe almeno mettere sotto controllo il clima e dare all’umanità più tempo per affrontare gli altri problemi;
  • un balzo in avanti del livello culturale e scientifico della nostra specie. Occorre una nuova visione della natura non più come il luogo da cui prelevare le risorse e scaricare i rifiuti, ma come il luogo nel quale è nata e si è sviluppata la vita di cui noi siamo una specie tra tante, tuttavia unica nel suo genere. Quindi, piaccia o no, siamo anche eredi di responsabilità e doveri nei confronti della intera biosfera. Non è più concepibile che il management della biosfera sia nelle mani di politici, economisti, imprenditori ed operatori dei mass media, che in molti casi ignorano l’esistenza e la complessa struttura della biosfera che fornisce tutte le risorse di cui il libero mercato fa scempio. Questo implica per la nostra specie una transizione antropologica, di cui non si era avvertita la necessità fino all’inizio della rivoluzione industriale, ma oggi indispensabile per un comune futuro. Il salto culturale che le condizioni attuali ci impongono, cioè la consapevolezza dei limiti del sistema e la conoscenza della dinamica dei meccanismi evolutivi naturali,  è dunque una novità assoluta e senza precedenti, la cui attuazione ha un senso  se inquadrata nella presente condizione di rischio in cui si trova la biosfera. Una maggior diffusione delle conoscenze scientifiche, dovrebbe divenire parte integrante della  cultura di base della classe politica che dovrebbe aggiornare  il proprio corredo culturale e dare più spazio a scienziati ed esperti;
  • un  argomento importante riguarda i percorsi  evolutivi delle componenti della biosfera ed i tempi di reazione da parte umana. Una nave sovraccarica di merci oltre il suo limite massimo di galleggiamento in sicurezza (Linea di Plimsoll), in alcuni casi con un carico non uniformemente distribuito, corre il rischio di affondare. Il cambiamento  climatico può diventare irreversibile se la quantità di gas serra immessi nell’atmosfera  e lo scioglimento delle calotte glaciali entrano in una fase di forte accelerazione, condizione che alcuni scienziati danno per certa, vanificando ogni possibilità di intervento umano. La tragedia del Titanic può aiutarci a capire: è stato avvistato  in anticipo l’iceberg sul quale la nave potrebbe infrangersi; la distanza ed i meccanismi per un cambiamento di rotta non consentono tuttavia di evitare l’ostacolo in tempo. Noi possiamo ancora reagire in tempi brevi ed evitare catastrofici eventi, ma dobbiamo cambiare rapidamente;
  • un “patto intragenerazionale con i nostri figli e nipoti (ed intergenerazionale con i nostri più lontani discendenti)  per consentire che le presenti e le generazioni future di questo secolo abbiano pari opportunità di sopravvivenza. Sarà di queste ultime infatti la responsabilità di lasciare alle generazioni del prossimo secolo (XXII) una biosfera vivibile ed ospitale. Il patto tra generazioni dobbiamo stipularlo con i nostri figli, nipoti e pronipoti che per primi si troverebbero coinvolti in una catastrofica estinzione, se lasciamo che la gestione della questione ambientale venga effettuata dal “mercato” e dalle sue leggi niente affatto rassicuranti. Abbiamo la possibilità di lasciare non un cumulo di macerie, ma una società libera e consapevole di quanto ha ereditato e di quanto dovrebbe a sua volta elargire ai propri epigoni. Un  patto di coesistenza pacifica con la natura non sarebbe una nostra generosa elargizione, bensì una imprescindibile necessità affinché la nostra specie sopravviva. Se, come molti  scienziati ritengono, siamo già nel mezzo di una grande estinzione, un ulteriore rapido deterioramento delle condizioni esistenziali dell’umanità non farebbe altro che accelerare la decadenza della nostra civiltà favorendo in primis la nostra scomparsa. Dal punto di vista evolutivo tutto rientrerebbe nell’ordine naturale delle cose, molte specie oggi in via di estinzione si salverebbero e nel tempo nuove specie animali e vegetali popolerebbero il pianeta. Una equità intragenerazionale ed intergenerazionale  è concepibile solo in una società totalmente rinnovata in campo culturale, scientifico, sociale ed economico. Il livello culturale odierno della popolazione e della classe politica non  consente di preoccuparsi dei discendenti del  2100-2200, dato che non riusciamo a proteggere l’ambiente e le generazioni di questo secolo. Quanto ad equità distributiva – presupposto base per una decorosa sostenibilità – siamo ben lontani dal raggiungerla anche nei Paesi che vantano una democrazia stabile ed efficiente. In questo senso il processo di sostenibilità richiede tempi lunghi e noi oggi siamo probabilmente solo all’inizio di un percorso teorico, poco recepito dalle istituzioni governative. Le attività delle Nazioni Unite devono concentrarsi con forza nel sostenere l’avvio di un processo di sviluppo sostenibile al più presto. Bisogna inoltre che venga elaborato  un modello generale di riferimento per la transizione, del quale l’Europa Unita in primis (ma nessuna altra nazione è esclusa) potrebbe a mio avviso farsi a partire dal 2020 elaborando i piani nazionali;
  • l’ impegno reale per un futuro di stabilità umana ed ambientale.Il  problema può essere risolto solo partendo dalla situazione attuale, decidendo di non costruire altre centrali atomiche, ma di utilizzare energia solare, eolica, geotermica ed altre tipologie di risorse rinnovabili. Similmente bisogna smetterla con il radere al suolo le foreste ma reinserire le foreste nei contesti in cui è ancora possibile farlo. Un discorso di questo tipo vale anche per l’utilizzo delle risorse biologiche dei mari e degli oceani: meglio sarebbe una pesca controllata basata sulla capacità riproduttiva delle specie, piuttosto che la creazione di oasi ecologiche  disperse in oceani inquinati. In questo senso si incontra una ulteriore difficoltà: molti popoli continuano ad eliminare i grandi cetacei giustificandosi con la loro antica tradizione in tal senso. In sostanza è il caos che domina nei rapporti internazionali e mi sembra ovvio che il progresso in questo senso potrebbe inizialmente realizzarsi solo in Europa, le cui nazioni sono più omogenee di altre “Unioni”. E’ accertato che molte grandi navi eseguono il lavaggio dei loro immensi serbatoi in mare aperto e negli oceani, come dimostrano le macchie di olio e di altri composti chimici rilevate dai satelliti. Occorre quindi diffondere un programma globale di sostenibilità ed i programmi individuali di ciascun Paese, in modo che almeno i concetti base e le responsabilità  siano chiariti. Un impegno di disinquinamento dovrebbe essere adottato al più presto per il Mediterraneo che in quanto mare chiuso si deteriora con maggiore rapidità. Una robusta  presenza delle forze di controllo dei Paesi che si affacciano su questo mare interno, potrebbe costituire un esempio da seguire.  Noi viviamo all’interno della biosfera la condizione di co-evoluzione auto-propulsiva di Kauffmann, che riguarda anche il sistema politico, economico e produttivo; di conseguenza tutto è collegato con tutto e ciò implica una condizione ambientale naturale in continua evoluzione dinamica con la quale dobbiamo confrontarci;
  • una capacità di compensazione basata sul  trasmettere alle future generazioni risorse che compensino quelle che noi abbiamo già consumato. Occorre una breve premessa: (i) alcune risorse non-rinnovabili sono di lunghissima durata come l’energia solare, altre sono molto abbondanti (carbone, petrolio ed alcuni minerali), ma agli attuali e futuri ritmi di consumo saranno disponibili in misura decrescente solo per un paio di secoli; la loro naturale rigenerazione potrà avvenire solo in decine di milioni di anni, rendendole praticamente non disponibili per le generazioni future; (ii) tra le risorse rigenerabili, quelle del mondo animale e vegetale, la precarietà è molto più elevata: il consumo accelerato cui le stiamo sottoponendo può trasformarle in non rinnovabili (una foresta che viene rasa al suolo non protegge più il territorio dall’erosione e quindi non potrà rigenerarsi). Il degrado del territorio e degli oceani, riduce il potenziale rigenerativo dell’ambiente ed altera la dinamica di alcuni fenomeni complessi. La possibilità dunque di compensare le future generazioni per le risorse non più disponibili è limitata. Il problema è stato affrontato in vari modi. La soluzione più seria sembrerebbe quella di attribuire un prezzo alle risorse che vengono consumate e di investire in parte o del tutto i ricavi in altre risorse rigenerabili, di ridurre le esternalità e riutilizzare i rifiuti in modo da mantenere uno standard di condizione ambientale. E’ evidente che la qualità dell’ambiente che la mia generazione ha trovato negli anni ’50 non potrà essere preservata perché la popolazione era a quel tempo di circa 2.5 miliardi di persone, la cui esistenza era basata  su una agricoltura diffusa a livello globale. Il progresso scientifico consentirà alle future generazioni l’uso di risorse che non inquinano, ma se verranno nei prossimi anni distrutte gran parte delle foreste esistenti sul pianeta (processo già in corso e già frequente nei secoli passati) è chiaro che i nostri nipoti erediteranno un mondo degradato. L’equità intergenerazionale non può prescindere dalla evoluzione naturale legata al clima ed a tutti gli altri fenomeni terrestri, extraterrestri ed umani che plasmano continuamente il pianeta.  L’attribuzione di costi alle risorse, la  riduzione delle esternalità e quanto verrebbe pagato allo Stato per compensare l’inquinamento prodotto, sono possibilità che vanno tenute in seria considerazione, ma che non consentiranno pari opportunità. Nulla o quasi si potrà fare se la crescita demografica fosse già entrata nel campo della incontrollabilità.  Ritengo che una soluzione sia quella di partire dalla fotografia odierna dell’impronta ecologica dei popoli e della biocapacità dei relativi territori e su questa base tentare un approccio che riequilibri nella misura del possibile i guasti perpetrati. La fotografia odierna dovrebbe servire come base per ipotizzare la fotografia futura, collocabile ad esempio, tra il 2050 ed il 2100, quando la popolazione del pianeta dovrebbe essersi stabilizzata intorno agli 8-9 miliardi di persone. Se la tendenza ad una natalità pari alla mortalità dovesse rivelarsi impossibile (è sufficiente che Cina ed India crescano senza controllo) ogni sforzo per la sostenibilità sarebbe inutile. Le nazioni più popolose darebbero luogo ad una emigrazione selvaggia e conflitti armati esploderebbero ovunque. Un fattore di insostenibilità riguarda la conservazione delle scorie nucleari il cui controllo dovrebbe essere effettuato per secoli (e forse millenni) dai nostri discendenti. In questo caso non si verificherebbero compensazioni, ma costi addizionali;
  • l’inserimento nell’analisi costi-benefici dei valori delle risorse ambientali, degli impatti e delle esternalità. Un tentativo in questa direzione è stato in parte effettuato con scarsa convinzione e senza risultati di rilievo. La soluzione del “mercato” come panacea di tutti i mali è illusoria; di fatto in regime di neoliberismo  comandano gli economisti e le loro idee. Per questi ultimi le risorse naturali sono praticamente illimitate, lo spreco delle risorse è la base di partenza in quanto crea profitti e posti di lavoro, non importa a quali costi ambientali e rischi per le presenti e le future generazioni. Non possiamo quindi fidarci dei benefici effetti dell’economia di mercato che ha da sempre prediletto il perfezionamento dello spreco (Marcuse, L’Uomo ad una Dimensione,1964;
  • la struttura e le priorità di uno sviluppo sostenibile sono note: organizzare una società basata sulla giustizia sociale, che privilegi la conservazione della natura, migliori le condizioni di vita degli esseri umani, includendo in questo programma anche le generazioni future. Il primo passo (anche se l’argomento è ancora considerato fuori discussione) sarebbe la stabilizzazione della popolazione che è il motore unico di tutto il resto (attività umane, profitti, impatti ambientali e degrado generalizzato della biosfera e cambiamento climatico). Una popolazione può sopravvivere in un equilibrio quasi  stazionario purché l’impronta ecologica sia compatibile con la biocapacità del territorio e sempreché i cittadini ed istituzioni che perseguono la sostenibilità siano culturalmente adeguati alle difficoltà che incontreranno. Solo una decina di nazioni possiedono una impronta ecologica quasi uguale alla biocapacità. L’Italia in questo senso è una nazione ad elevata impronta ecologica ed una moderata biocapacità, quindi deve contare fortemente sull’importazione di beni;
  • una  ”diffusione globale della democrazia”. Questa  straordinaria conquista umana,  rap-presenta la sola garanzia di una equa sopravvivenza, che non sacrifichi  i più deboli, ma consenta alla maggioranza della popolazione una dignitosa libertà dai bisogni primari, come prerogativa per uno sviluppo armonico della nostra specie. La democrazia è indis-pensabile per garantire eguaglianza, collaborazione tra i popoli, giustizia sociale e libertà. Se si aggiunge il concetto di “fraternità” si torna ai principi base della rivoluzione francese.

 

Molte interpretazioni sono state fornite sullo sviluppo sostenibile, molte sono le critiche alla sostenibilità  e diffusa è la sensazione che in assenza di sostenibilità la situazione globale dell’economia possa solo peggiorare. Lo scopo fondamentale di avviare un processo verso la sostenibilità si riassume nella possibilità di conservare un equilibrio sociale, ecologico ed ambientale all’interno della biosfera, allo stesso tempo innalzando le condizioni economiche dei più poveri e limitando l’ulteriore arricchimento dei più ricchi.

A partire dall’inizio del III Millennio e tenendo conto dalla crisi finanziaria ed economica del 2007 e di quanto è accaduto a livello globale in termini di disastri naturali, economici e sociali,  è utile riassumere i rischi, le potenzialità umane e le evidenti difficoltà:

 

  1. la nostra società globale è a rischio di catastrofe per la crescita esponenziale della popolazione,  per il consumo forsennato delle risorse rinnovabili e non-rinnovabili, per l’impatto ambientale antropogenico e la decimazione della biodiversità, per i conflitti che sorgono sempre più numerosi tra i popoli, per il cambiamento climatico che potrebbe raggiungere dimensioni devastanti;
  2. oggi si può concepire l’avvio di un processo di sviluppo sostenibile il cui punto focale sia una stabilità biosferica (riferita ai fenomeni naturali ed alle attività umane) a brevissimo termine ed una a medio termine, rispettivamente all’interno dei periodi 2020-2050 e 2050-2100. Oggi possediamo le conoscenze scientifiche per un avvio del processo, ma non abbiamo raggiunto la maturità politica per cambiare la nostra società;
  3. nel corso della sua diffusione nel mondo negli ultimi 100 mila anni, ma soprattutto negli ultimi 20 mila anni Homo Sapiens si è diversificato in alcuni casi perseguendo uno sviluppo economico e culturale notevole, in altri casi rimanendo condizionato da situazioni ambientali ed esistenziali difficilissime. Oggi risentiamo pesantemente di queste differenze che negli ultimi 80 anni circa si sono ulteriormente radicate talvolta trasformandosi in “condizioni” immutabili”. Differenze di cultura, di condizioni economiche, di religione e di tradizioni storiche fanno si che la nostra specie da un lato si identifichi nella  definizione di Homo Sapiens, dall’altro abbia elaborato differenze che certamente non facilitano la coesione che l’inizio di un processo di sostenibilità globale  richiederebbe;
  4. i problemi che ad esempio riguardano i popoli più evoluti sul piano economico, non interessano allo stesso modo i numerosi popoli in via di sviluppo il cui impegno quotidiano più pressante è la sopravvivenza giorno per giorno in una diffusa mancanza di risorse. Per quanto possa apparire logico per la nostra specie che si è auto qualificata “Sapiens”,  i popoli più ricchi non intendono investire risorse per aiutare quelli più poveri, pertanto le differenze crescono (sia pur tenendo conto di alcune eccezioni) non solo tra le nazioni ma all’interno delle nazioni. In sostanza la solidarietà è un valore individuale e le disuguaglianze tendono a prevalere;
  5. se si continua ad ignorare il problema delle emissioni globali di gas serra, nel giro di due decenni il clima si riscalderà ulteriormente fondendo le coltri glaciali (già in fase di avanzato ritiro), causando danni all’economia globale e bloccandola nel giro di pochissimi anni. L’allarme che molti geologi, glaciologi e biologi hanno lanciato ipotizza sconvolgimenti globali assolutamente incontrollabili. Di queste transizioni la storia geologica è ricca e solo  20 mila anni fa si è passati da una glaciazione molto estesa (che si era protratta per 90 mila anni nell’emisfero settentrionale espandendosi fino al Nord degli Stati Uniti ed alle Alpi in Europa), ad una de-glaciazione che si è protratta fino a 10 mila anni fa durante la quale immensi volumi di ghiaccio si sono liquefatti (facendo salire il livello del mare di oltre 120 m). Il riscaldamento dell’atmosfera si è poi stabilizzato dando luogo ad una “condizione climatica ottima” nel corso della quale si è sviluppata l’agricoltura. Con la rivoluzione industriale del 1800 la temperatura media ha ripreso a crescere ad oggi essendo più elevata di 1°C; questa apparentemente modesta variazione sta già provocando la liquefazione delle calotte glaciali con conseguenze ben note. L’avvio di uno sviluppo sostenibile non viene agevolato da questa dinamica di eventi geologici naturali ed umani, ed anche per questo è più indispensabile che mai. Il rapporto pubblicato il 31 Marzo 2014 dall’IPCC, intitolato IPCC WGH AR5 Summary for Policymakers costituisce un aggiornamento della odierna condizione globale. La Figura SPM 1 evidenzia il rischio derivante dagli impatti legati al clima (a loro volta legati alla variabilità naturale dei fenomeni ed alle attività antropogeniche con effetti sul clima). In particolare il rischio deriva  da impatti climatici ed antropici e dalla interazione tra fenomeni fisici collegati al clima (hazards), la presenza   di vite umane, beni, specie ed ecosistemi (exposure) e la predisposizione del sistema (vulnerability) nel subire impatti di entità varia. La componente antropica motore di cambiamento climatico, che per la prima volta nella storia geologica entra in scena  a partire dal secolo scorso, è la più pericolosa quanto a varietà  e rapidità  degli impatti. Dal tenore di molti rapporti prodotti dalle Nazioni Unite si ha la sensazione che le proposte di intervento per contrastare questo autodistruttivo degrado ambientale indotto dall’uomo, riguardino sempre più adattamento e mitigazione  che sono attività utili e realizzabili ma non risolutive,  e sempre meno le cause scatenanti antropogeniche della crisi ambientale.

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Figura SPM 1 –  IPCC WGH AR5 Summary for Policymakers (pag. 35)

 

La fragilità e la vulnerabilità delle varie democrazie planetarie, che pure tendono ad una omogeneizzazione dei contenuti e delle tipologie strutturali, ostacolano una visione ambientale comune e sembrano necessitare di tempi lunghi di maturazione, a fronte della rapidità con cui avanza il cambiamento climatico. L’idea di uno sviluppo sostenibile, pur nelle difficoltà enunciate, resta tuttavia l’unica strada,  indubbiamente difficile ed irta di ostacoli, ma percorribile. Per questo nel mio libro “La Crisi Ambientale Globale” ho rivolto l’invito all’Europa Unita affinché sia il primo gruppo di nazioni a  concepire, elaborare e realizzare al più presto, nella misura del possibile, la transizione verso la sostenibilità, unica pragmatica speranza per un futuro migliore (giovannirantucci.wordpress.com).

Fai clic per accedere a IPCC_WG2AR5_SPM_Approved.pdf

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Giovanni Rantucci

 

[1]The Summary for Policymakers  released on 31 March 2014, (IPCC), Fifth Assessment Report (AR5).

 

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